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“La nostra data limite è il 7 giugno. L’obiettivo però è che Donald Trump sia nominato candidato a metà maggio”. Questo è il calendario strategico del team che sostiene il magnate americano nella corsa verso la Casa Bianca, svelato dal suo principale consigliere, Paul Manafort, al Washington Post, agli inizi di aprile. Secondo i calcoli, è impossibile arrivare ai 1237 delegati prima delle primarie che si svolgeranno in California il 7 giugno, ma già a metà maggio si potrebbe capire se la cifra è raggiungibile, scongiurando l’idea di una convention aperta, che poco piace agli esponenti del partito.

UNA STRATEGIA TRADIZIONALE

“Il messaggio di Trump non cambierà nei suoi concetti fondamentali, ma sarà presentato in modo diverso. Avevamo un messaggio che ha funzionato, ma che non era pensato per l’intera durata della campagna. Bisogna creare un nuovo modello, più tradizionale, e Trump lo sa. Stiamo lavorando insieme su questo”, ha spiegato Manafort al quotidiano americano. Le mansioni del lobbista riguardano la strategia e la struttura della campagna elettorale del candidato repubblicano. Se invece ci si avviasse alla convention aperta, il team sarebbe pronto a un “piano di contingenza”. “Dal mio punto di vista – ha detto Manafort – tutto questo farfuglio dei nostri rivali delle ultime due o tre settimane è un circo mediatico geniale, ma completamente irrilevante se noi lavoriamo bene”.

LA PERSONA GIUSTA

Il 7 aprile Trump ha annunciato l’ingresso di Manafort nel suo team, in attesa della convention di Cleveland, subentrando così a Corey Lewandowski. Sul sito “Trump Make America Great Again” si legge che Manafort “servirà come manager della campagna. È nota la sua conoscenza ed esperienza. Mr Trump è convinto che sia la persona giusta per affrontare questi tempi difficili. Sarà responsabile delle campagna durante il percorso che ci porterà a Cleveland, Ohio”.

LA STIMA DI DONALD

“Paul è una grande risorsa e un’importante aggiunta. Lui e l’intera squadra che sto costruendo garantiranno che venga rispettata la volontà degli elettori repubblicani, e non dell’establishment politico di Washington, nella selezione del candidato del partito repubblicano. Non vedo l’ora di vincere la nomination e, infine, la presidenza, per rendere l’America di nuovo grande”, ha detto Trump. Contemporaneamente all’ingaggio di Manafort, il magnate dell’immobiliare ha annunciato anche l’apertura di un ufficio a Washington.

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VICINO DI CASA

Nonostante abbia lavorato per più di una campagna elettorale, Manafort non è una figura nota alla capitale americana. Il sito francese Atlantico, che ha intervistato alcuni suoi amici, ha scritto che il consulente non ha mai trascorso lunghi periodi nel distretto di Columbia. Piuttosto, era un abitué di Trump Tower, a Manhattan, dove ha un appartamento, ed era solito incontrare Trump nell’ascensore, come capita ai buoni vicini. Manafort vive tra Florida, New York e la città vecchia di Alexandria, in Virginia.

GLI INIZI

Nato a New Britain, nel Connecticut, nel 1949, Manafort è un avvocato con la passione per la politica. Laureatosi alla Georgetown University e alla Georgetown University Law School, tra il 1977 e il 1980 ha lavorato allo studio Vorys, Sater, Seymour and Pease, a Washington, e nel 1985 è diventato direttore del Center for the Study of Democratic Institutions. Secondo il Corriere della Sera, suo nonno era italiano. “La società di consulenza di Manafort a Washington è molto popolare tra i parlamentari repubblicani – si legge sul quotidiano diretto da Luciano Fontana – . Un patrimonio di contatti e relazioni costruito fin dal 1976, quando il giovane legale entrò nello staff di Gerard Ford”.

IL LEGAME CON TRUMP

Manafort ha collaborato come consulente per Ronald Reagan. Sul sito Presidency si legge che nel 1981 il presidente americano lo nominò membro del Consiglio di amministrazione della Overseas Private Investment Corporation, Agenzia internazionale per la cooperazione allo sviluppo degli Stati Uniti: “Manafort è attualmente partner di Black, Manafort & Stone, specializzata in relazioni con il governo, affari pubblici e di consulenza politica”. Il Washington Post sostiene che la Black, Manafort & Stone, fondata nel 1980, sia il legame tra Manafort stesso e Trump: la società, infatti, ha rappresentato gli interessi degli alberghi Trump su questioni fiscali e gioco d’azzardo.

ALTRE COLLABORAZIONI

Manafort è stato coordinatore del personale presso l’Office of Executive Management durante il periodo di transizione che ha portato alla prima presidenza Reagan. Dal 1978 al 1980 è stato coordinatore del comitato elettorale del presidente repubblicano. Sul Corriere della Sera sono indicate altre attività di consulenza presso Gerald Ford, George H. Bush, Robert Dole, George W. Bush e John McCain.

Ma non tutte le consulenze di Manafort si sono svolte in America e non tutte sono state effettuate nel rispetto del principio di trasparenza a quanto pare. “I suoi amici lo chiamavano il Conte di Montecristo. Oggi Paul Manafort è più simile all’uomo invisibile; un professionista della politica mondana, la cui ultima avventura è stata sussurrare consigli all’orecchio del candidato presidenziale ucraino Viktor Yanukovich”, ha scritto il sito Politico il 3 maggio del 2014. Yanukovich è stato descritto come “l’uomo forte filorusso la cui estromissione ha innescato una crisi internazionale che ricorda un romanzo di spionaggio della Guerra Fredda”. Il sito – noto per indiscrezioni e anticipazioni dei sottoboschi politici americani – segnala anche misteriosi rapporti tra Manafort, un gruppo di ribelli angolani anti-comunisti e Ferdinand Marcos, il dittatore delle Filippine. The Week include anche una collaborazione con Lynden Pindling, ex primo ministro delle Bahamas, accusato di avere legami con i narcotrafficanti.

Chi è Paul Manafort, il lobbista italo-americano ingaggiato da Trump

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