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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

La furbizia, l’atavica tara di cui si alimenta gran parte degli italiani, trasformandoli nella Cenerentola d’Europa nella scuola, nella pubblica amministrazione, nella giustizia e in tanti altri settori, non solo -come la bugia- ha le gambe corte, ma si rivela, infine, controproducente. L’asino italiano, infatti, dopo anni di soccorsi e accoglienze, nei quali il «business» interno s’accoppia molto spesso al «business» degli scafisti, e per i quali, dopo le «missioni» in mare (retribuite a parte) e il ricovero e il mantenimento, c’era il libero abbandono delle strutture di identificazione e sosta e la dispersione (dei disperati) nel vasto territorio europeo, sarà costretto, di fronte all’entità del fenomeno e alla gravità della «furbizia» messa in atto dalle autorità nazionali, a fare sul serio.

A identificare sul serio chi arriva nel territorio nazionale. A compilare una vera scheda sanitaria, dopo i necessari controlli e le opportune analisi. A trattenere nei centri di raccolta coloro che chiedono asilo politico e, quindi, si dichiarano profughi, anche per i biblici tempi che occorrono al ministero dell’interno per decidere sull’ammissibilità o meno dell’asilo stesso. Poiché gli immigrati cui viene riconosciuto il diritto di asilo sono una minima percentuale dei richiedenti, si è posto e si pone un problema di gestione dei ricorsi dei non ammessi. E qui vengono in soccorso dei furbastri le lungaggini bibliche dei Tar e dei giudici ordinari: in attesa che queste istituzioni decidano, i «non riconosciuti» vengono lasciati liberi di andarsene in giro per l’Italia e per l’Europa. Mentre falangi di famelici avvocati senza o con scarso lavoro cercano di spolpare la magrissima polpa intorno alle povere ossa dei disperati delle carrette del mare. D’ora innanzi non sarà più possibile.

Ha ragione il prefetto Morcone a protestare ritenendo che l’intervento di funzionari non italiani nel procedimento di identificazione degli immigrati sia un vero e proprio commissariamento. Poiché sa benissimo in quale condizioni si svolge il servizio dei suoi uffici, con quali chiusure d’occhi volute dal potere politico e dal potere più o meno occulto di molte delle organizzazioni che operano nel settore o con quali pressioni del cieco buonismo di natura religiosa, non poteva aspettarsi di meno, nel momento in cui il problema è diventato così grave da imporci di chiedere un aiuto all’Europa.

Dicevano i romani «Hic Rodhus hic salta», nel senso che quando viene il momento si deve ballare senza furbizie o svicolamenti.

La messa in scena che sino a ora è stata rappresentata sul palcoscenico italiano chiude il sipario e si trasforma nella gestione da parte di uno Stato europeo, sotto commissariamento europeo, di una emergenza che non permette distrazioni, fughe o ruberie.

Se accetteremo la missione europea – e non vedo come non potremo accettarla, visto che si combina con l’intesa con le Nazioni Unite su un intervento di natura da definire in Libia – dovremo fare sul serio: chiudere innanzi tutto la ricreazione del mondo della giustizia italiana che intende fare andare le cose della vita civile al ritmo delle proprie inefficienze e delle proprie ignavie. Perciò, ricorsi da decidere in tempi brevissimi (all’americana, pochi giorni al massimo, giustificando i ritardi) e procedure d’appello altrettanto rapide.

Probabilmente sarà necessario istituire luoghi di detenzione amministrativa (come negli Stati Uniti), più vivibili delle prigioni, ma dai quali sarà impossibile allontanarsi. Dovremo procedere, quindi, alla vera e reale (non virtuale) identificazione dei nuovi arrivati, dividendoli, sin dall’inizio tra illegali (oltre il 90%) e richiedenti asilo politico. Dovremo effettuare seri accertamenti sanitari, in modo che di ognuno ci sia una cartella clinica di standard accettabile.

Solo dopo quest’attività, compiuta insieme a operatori non italiani (commissari) questa gente potrà mettersi in viaggio per i paesi di destinazione, secondo contingenti prefissati e itinerari controllati. Altrimenti, continueremo a essere allo sbando, con un ministro dell’interno che rassicura tutti e nessuno e decisioni estemporanee per coprire la sostanziale incapacità di controllare il fenomeno.

Certo, migliaia di operatori assistono gli uomini e le donne del Sud del mondo con passione e dedizione. Molti agenti delle forze dell’ordine rischiano contagi e malattie nel loro servizio senza limiti. Ma l’Italia e anche loro, le migliaia di persone che si avventurano nel Mediterraneo affidandosi a caro prezzo a organizzazioni criminali che si di esse si arricchiscono, debbono sapere che le porte stanno per essere socchiuse, in modo da fare entrare solo coloro che possono essere assistiti secondo le disponibilità dei paesi europei.

Insomma, si torna alla politica dei flussi che in tutto il mondo regola le immigrazioni, consentendo a un numero importante di migranti di trovare ospitalità e lavoro nei paesi più ricchi, impedendo però i numeri biblici che mettono in discussione la medesima ordinata esistenza degli stati riceventi. Anche il papa dovrà rendersi conto che la carità ha i limiti che le disponibilità e le forze del caritatevole permettono. Altrimenti la carità si trasforma in distruzione e autolesionismo. Finalmente, l’Europa. Se e quando interverrà con i suoi commissari inizierà una stagione di chiarezza e di ragionevoli controlli. Nell’interesse europeo e, quindi, anche nostro.

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