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Il cosiddetto Protocollo Farfalla, l’operazione del Sisde per raccogliere tra il 2003 e il 2004 informazioni dai detenuti in regime di carcere duro, venne portata avanti dall’intelligence contro la legge, contando su un ruolo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziara “non consono alle sue prerogative e fuori dal perimetro assegnato”. Si legge questo nella relazione finale del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica realizzata sul tema (e sulla operazione Rientro e la vicenda Flamia) e presentata l’altro ieri al Senato.

Il testo, spiega in una conversazione di Formiche.net con Giacomo Stucchi (Lega Nord), presidente del Copasir, fotografa una situazione passata, ma che potrebbe essere utile per rafforzare in futuro il ruolo di controllore dell’organismo, anche alla luce delle nuove prerogative degli 007 in materia di anti terrorismo. Ecco come.

Presidente Stucchi, che quadro emerge dalla relazione del Copasir? Lei si è riferito al Protocollo Farfalla come ad una operazione fallita.

Fallita o, se preferisce abortita, perché non è mai iniziata e non ha portato agli obiettivi che si erano prefissi. È il quadro del passato, messo alle spalle con altri provvedimenti legislativi che consentono già di gestire in modo diverse situazioni come quelle affrontate nella relazione. La legge 124 è una grande legge, ma ad otto anni dal suo varo ha oggi bisogno di un “tagliando”, una revisione che, ad esempio, preveda maggiori poteri al comitato.

A che tipo di poteri pensa?

Aanche accesso diretto agli archivi documentali del Dis ad operazioni concluse e un piccolo implemento di personale qualificato.

Col decreto le agenzie d’intelligence, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, potranno effettuare, fino al 31 gennaio 2016, colloqui con soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale.

Per questo c’è bisogno anche di maggiori poteri di controllo sulle agenzie di intelligence proprio in virtù delle nuove situazioni inedite contenute nelle nuove norme.

Si riferisce all’istituzione di un centro indipendente di analisi?

Non mi spingo così in là, ma è bene ricordare che tutta la documentazione che si consulta nel Copasir non può essere portata fuori da quella sede. I membri stessi del comitato non possono studiarli fuori con calma. Sarebbe perciò utile contare su personale qualificato – anche analisti, perché no – che ci coadiuvi in questo compito.

Di quante risorse ci sarebbe bisogno?

Non molte, ritengo che una decina di persone sia un numero adeguato. Ci sono altri Paesi, anche continentali, dai quali possiamo trarre utili esempi. Ce ne ricorderemo i prossimi 28 e 29 maggio, quando a Bruxelles incontreremo una rappresentanza dei comitati o organismi come il nostro di tutti gli Stati dell’Unione europea.

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Che cosa manca al Copasir. Parla Stucchi

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