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L’Italia è l’unico Stato membro del G7 a non avere una strategia di sicurezza nazionale. E presto anche l’unico senza un Consiglio per la sicurezza nazionale. Anche a Berlino, infatti, il governo si doterà di questo organismo incardinato nell’ufficio del capo dell’esecutivo. La decisione è stata annunciata a inizio aprile da Friedrich Merz, che la prossima settimana si insedierà come cancelliere tedesco dopo aver vinto le elezioni federali di febbraio guidando l’Unione Cdu/Csu.

Nell’accordo di coalizione con i socialdemocratici si parla anche della creazione di un Nationaler Krisenstab e di un Nationales Lagezentrum sempre nella cancelleria, per la gestione operativa delle crisi e l’elaborazione di un quadro situazionale unificato. Tutto ciò è previsto all’interno del capitolo sulla “Coerenza nella politica estera”, a dimostrazione della volontà del prossimo governo tedesco di lasciarsi alle spalle le ambiguità con Russia e Cina che hanno contraddistinto le esperienze di governo della conservatrice Angela Merkel e del socialdemocratico Olaf Scholz.

Per il Consiglio di sicurezza nazionale, Merz intende riprendere e ampliare l’attuale Bundessicherheitsrat (Consiglio di sicurezza federale), trasferendolo formalmente al Bundeskanzleramt (la cancelleria), per assicurarne l’indipendenza dal singolo ministero e favorire la visione d’insieme, con funzioni di coordinamento strategico trasversale. A questo nuovo organo vengono affidate la coordinazione delle politiche di sicurezza integrate, lo sviluppo di strategie, la previsione strategica e la valutazione congiunta delle situazioni internazionali e nazionali.

Rimangono aperte questioni (che difficilmente possono trovare spazio in un accordo di coalizione) come l’esatta composizione, la struttura di funzionamento e l’integrazione del Consiglio per la sicurezza nazionale nei processi dei ministeri e delle autorità interessati dal lavoro dell’organismo, osserva la Friedrich Naumann Stiftung, fondazione del Partito liberale democratico. Ci sono poi, come osserva Noah Barkin per il German Marshall Fund, perplessità sulla decisione di Merz di affidare la guida dell’organismo a Jacob Schrot, funzionario di partito, che avrà un altro incarico a tempo pieno, quello di capo dell’ufficio del cancelliere.

Il ricercatore Jonas Sieveneck ha osservato che “affinché il Consiglio Nazionale di Sicurezza possa effettivamente svolgere i compiti a lui assegnati nel contratto di coalizione — sviluppo di strategie, previsione strategica, valutazione della situazione e coordinamento della politica di sicurezza integrata — non basta concepirlo esclusivamente come una commissione di gabinetto in cui i vertici dei ministeri interessati alla sicurezza si confrontano insieme al cancelliere su questioni di politica di sicurezza attuale. Occorre invece, oltre a un segretariato collegato, un ‘motore operativo’ tecnico che lavori in modo permanente”. E ancora: “L’istituzione di un Consiglio nazionale di sicurezza non deve tradursi in un semplice onere aggiuntivo per il personale dei ministeri, ma deve piuttosto raccogliere i processi avviati nei ministeri e negli ambiti sottordinati, integrare le analisi prodotte in tali sedi, seguire i processi strategici interministeriali e la loro attuazione, nonché preparare le decisioni conseguenti. Inoltre, dal Consiglio potrebbe partire il coordinamento per la concezione e l’attuazione della Strategia nazionale di sicurezza, qualora il nuovo governo intenda predisporne una”. Come ha evidenziato Sieveneck, però, non è previsto un aggiornamento della Strategia nazionale di sicurezza pubblicata per la prima volta due anni fa.

Tuttavia, la decisione tedesca di istituire un Consiglio per la sicurezza nazionale con questi obiettivi suona come una presa di coscienza delle nuove forme di minaccia alla sicurezza nazionale, che richiedono risposte whole-of-government se non addirittura whole-of-society. “Considerata la trasversalità delle minacce ibride, è indispensabile uno sforzo congiunto del sistema Paese”, si leggeva in una nota del Consiglio supremo di difesa riunitosi al Quirinale a fine 2023.

Così viene descritta la minaccia ibrida nella Relazione annuale 2024 sulla politica dell’informazione per la sicurezza pubblicata dall’intelligence italiana due mesi fa: “La minaccia portata da attori statuali (anche attraverso l’impiego di attori non-statuali che operano come agenti o proxies) mediante una combinazione di attività coordinate e sinergiche in vari domini, fra cui quello diplomatico, dell’informazione, militare, economico/finanziario e intelligence. La minaccia è suscettibile di essere moltiplicata dall’evoluzione dello spazio cibernetico e dai mutamenti dell’ambiente mediatico. Queste attività, solitamente negabili e difficilmente attribuibili, sono attagliate alle debolezze sistemiche dei Paesi target con l’intento di danneggiarli, destabilizzarli e/o indebolirli. La minaccia origina da Stati in grado di articolare rapidamente strategie multivettoriali e whole-of-government attraverso azioni aggressive e ad alto impatto. Tali azioni restano al di sotto della soglia dell’aperto conflitto armato e sono temporaneamente e operativamente focalizzate verso un unico obiettivo strategico, facendo leva su un limitato grado di accountability interna dell’attaccante e sfruttando anche le vulnerabilità tipiche delle democrazie occidentali”.

L’istituzione di un Consiglio di sicurezza nazionale in questo nuovo scenario di minacce – che vede nella Cina, ancor più che nella Russia, la massima espressione alla luce di una sfida multivettoriale – è un tema che Formiche.net segue da tempo.

A novembre il deputato Lorenzo Guerini del Partito democratico, presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa, ha presentato una proposta di legge che prevede tre punti: l’obbligatorietà dell’Autorità delegata, la definizione di una strategia di sicurezza nazionale e l’istituzione di un Consiglio per la sicurezza nazionale di livello politico.

In un paper del Luiss Policy Observatory presentato a fine 2023, Beniamino Irdi, Head of Strategic and International Affairs presso Deloitte Legal Italia, suggeriva l’istituzione di un Consiglio per la sicurezza nazionale con tre caratteristiche: permanente (e non un organo di crisi per “garantire una calibrazione costante, quotidiana della policy di governo); un organo tecnico con personale a impiego permanente; dipendente dal capo del governo”, con la guida che “non dovrebbe fare parte di una delle amministrazioni che lo compongono” come garanzia di imparzialità e per rispecchiare “la necessità di rafforzare un concetto di sicurezza nazionale completo e non appiattito su una delle sue dimensioni”.

A una struttura tecnica hanno fatto riferimento anche due diplomatici. Nella sua proposta, l’ambasciatore Giovanni Castellaneta ha scritto: “A differenza del Consiglio supremo di Difesa, questo organo dovrebbe seguire costantemente l’evoluzione della situazione; inoltre, dovrebbe contare su risorse umane dedicate e specializzate, comprendendo esperti ad hoc per le principali minacce: a partire da diplomatici che per la loro esperienza possano gestire con approccio di sintesi i principali dossier, cogliendone i collegamenti e le relazioni reciproche”. Emanuele Farruggia, consigliere diplomatico del Centro alti studi difesa, ha proposto l’istituzione di “un Dipartimento per la sicurezza nazionale” che, posto sotto la guida di un Consigliere nazionale di sicurezza, “si occupi non solo della definizione dell’ordine del giorno del Consiglio, ma anche della formulazione degli indirizzi strategici in materia di sicurezza nazionale”.

Di Comitato interministeriale per la sicurezza nazionale dotato di uno staff stabile ha parlato pure l’avvocato Stefano Mele, partner di Gianni & Origoni.

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