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La verità religiosa e la fede personale sono due cose diverse. La religione è una verità che ha il carattere del sacro. La fede, invece, chiama in causa la singola persona, e le sue convinzioni e certezze esistenziali assunte davanti a Dio.

Uno dei tratti caratteristici della tradizione cristiana è che non si devono confondere questi due aspetti, e nel caso di un credente non si possono in nessun modo separare. La fede dà accesso, con la libertà individuale, ad un senso complessivo della propria vita, ad un rapporto diretto e comunitario con Dio, che coinvolge le componenti spirituali più profonde dell’essere umano. La religione è l’espressione culturale e oggettiva di questa fede.

Oggi, davanti ai misfatti criminali compiuti ”in nome di Dio” dai due terroristi a Parigi, si è riaperta in modo plateale la grande questione dei rapporti tra la religione e la fede, e in modo più concreto tra le cose di Cesare e quelle di Dio.

È legittimo uccidere per la propria fede? È comprensibile che due uomini non solo sentano che la propria religione li spinga a massacrare dei giornalisti, ma lo facciano giustificati da una fede trascendente?

Dal punto di vista di un ebreo e di un cristiano, non solo non è in alcun modo lecito uccidere, ma il farlo è il maggiore peccato che possa essere compiuto contro Dio. Non a caso, il quinto comandamento lo stabilisce in modo perentorio.

Questo non significa, a ben vedere, che i cristiani e gli ebrei non compiano atti di violenza o assassinii. Vuol dire soltanto che togliere la vita deliberatamente ad un altro essere umano certamente non è fare la volontà di Dio, è contrario alla religione ed è incompatibile con la fede personale che viene professata dal credente.

Non a caso, i vignettisti trucidati avevano preso di mira molte volte anche il Papa, e vi sono state in quel caso come in altri polemiche su polemiche. Ma nessuno si sarebbe mai sognato di portare la difesa della figura simbolo della Chiesa Cattolica a vessillo per la trasgressione di un comandamento di Dio. Sarebbe come dire che per difendere il Vicario di Cristo si assume un atteggiamento contrario alla dottrina di Cristo: un’evidente contraddizione. Dio si aspetta che sopportiamo la sofferenza e le ingiurie, non che la pratichiamo. Nel caso di un cristiano, addirittura che egli ami i suoi nemici.

Già, si dirà, ma qui non si sta parlando di cristiani o di ebrei, bensì di musulmani. E allora dobbiamo pensare che in questo caso le cose cambino?

La risposta è assolutamente no. Tanto per cominciare nella dottrina coranica Dio è, al pari del Cristianesimo e dell’Ebraismo, il Creatore del cielo e della terra. Dio è il principio e il fine di tutta la realtà, e quindi lo è di tutti gli esseri umani, non solo dei credenti. Una visione teologica che sostiene la violenza è incompatibile con le prerogative religiose che sono proprie di un Dio creatore. Inoltre, come molti Imam hanno denunciato, la gratuità disumana di questa malvagità rende l’eccidio molto più simile ad un atto demoniaco che ad un atto religioso. A prescindere da tutto il resto, quindi, avere un Dio che ti dice di uccidere significa prestare fede ad un’allucinazione fanatica e non certo assumere un rapporto con il Creatore del mondo della comune tradizione monoteistica.

Perché allora esiste il fondamentalismo religioso? E, ancor più, perché esso oggi si esprime utilizzando strumentalmente l’Islam?

Per rispondere a questa domanda ci viene in soccorso la storia e anche un po’ di buona filosofia. La religione per sua essenza non è una dottrina politica: ci parla del nostro fine ultimo eterno, della beatitudine e come arrivarci, non delle nostre mete temporali. Tuttavia ogni religione si misura nello spazio pubblico con la politica, facendo politica. I credenti costituiscono delle comunità, le quali interagiscono tra loro con comportamenti, atti e costumi molto diversi. Anche il Cristianesimo, soprattutto in altre epoche, ha compito in tale passaggio un travisamento della propria verità che lo ha portato a diventare da religione organizzata a politica religiosa violenta. La Chiesa ha sempre salvaguardato, con la sua indipendenza, che tali atteggiamenti non divenissero legittimi dal punto di vista religioso.

Il problema del fondamentalismo islamico è non solo che alcuni gruppi ne danno un’interpretazione molto politica, ma che addirittura ne trasformano la natura in una politica religiosa. Quando, come nel caso di Al Quaida, si incita alla violenza e al martirio contro l’Occidente, spedendo aerei kamikaze contro i palazzi, e quando, come l’Isis, si fonda uno Stato islamico fondamentalista e crudele che invia suoi emissari in giro per il mondo a seminare odio e terrore, ormai non si ha più a che fare con una religione, ma con una fede politica atea e disumana che va estirpata dal mondo.

Perciò i fatti di Parigi sono così gravi. Si colpisce la libertà di stampa, cardine della democrazia, lo si fa con violenza terroristica gratuita, e si colpisce l’Islam trasformandolo da religione di Dio in ateismo politico.

Dio non può chiedere a nessuno di uccidere, di nessuna confessione egli sia. Ma gli uomini possono riporre la loro fede cieca e miscredente nella violenza, chiamando religione la propria follia e spiegando con argomenti blasfemi azioni che vanno punite severamente e colpite in modo repressivo dove nascono e crescono, ossia nella volontà di potere e di sopraffazione di alcuni esseri umani sugli altri. Qui Dio non c’entra, perché il loro Dio non è Dio, e la repressione è da applicarsi, a cominciare dall’Occidente, dalla politica civile ad una politica atea e inumana, e non da una religione, quella cristiana, ad un’altra religione, l’Islam, la cui presenza invece è molto positiva per il bene dei suoi credenti e della democrazia nel suo insieme.

Solo l'ateo uccide in nome di Dio

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