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L’ultima, in ordine cronologico, è l’aggressione avvenuta a New York. Nella serata di giovedì, un uomo ha colpito con un’accetta due poliziotti. L’aggressore Zale Thompson, un trentaduenne da poco convertito all’Islam, ha agito da solo: i due agenti di pattuglia nel Queens sono stati presi alle spalle – erano in una squadra di quattro, ma si erano allontanati per fare una foto, a quanto sembra.

Uno dei poliziotti, è stato preso su un braccio, ed ora è stabile; l’altro è stato colpito alla nuca ed è invece in condizioni gravissime. I compagni presenti – tutti e quattro erano usciti dalla Police Academy l’8 luglio – hanno reagito all’aggressore, e lo hanno freddato a colpi di pistola. Una passante, è stata ferita alla schiena nello scontro a fuoco ed è stata operata per estrarre il proiettile,

L’attacco ai due dell’NYPD è l’ultimo di una serie che in queste giorni sta interessando città a diverse latitudini.

Due giorni fa, un altro trentaduenne Michael Hall, diventato Michael Zehaf Bibeau dopo la sua conversione all’Islam, ha attaccato il parlamento di Ottawa, in Canada, dopo aver ucciso un soldato di guardia al National war memorial – che sta più o meno davanti al palazzo legislativo. L’intruso armato, ha fatto irruzione seminando il panico (l’immagine dei parlamentari chiusi in aula, barricati con le sedie dietro la porta resterà nell’iconografia storica canadese), poi è stato colpito a morte in un conflitto a fuoco scoppiato all’interno dell’edificio.

Lunedì, sempre in Canada, ma a Saint-Jean-sur-Richelieu (un sobborgo di Montréal), Martin Rouleau, un altro convertito di origini canadesi, ha ucciso con la sua vettura un soldato e ne ha ferito un secondo. Poi è finito sotto gli spari della polizia, dopo che, sceso dalla macchina, si era scagliato contro gli agenti con un coltello in mano.

Tre episodi analoghi nell’ultima settimana, che arrivano tutti dal Nord America. Episodi angoscianti, non solo per le povere vittime, ma per lo scenario che aprono davanti a noi. Quello del terrorista solitario – in nessuno dei casi, finora, si è potuta ricostruire una programmazione di “ordine superiore” – che agisce sull’onda di una forte determinazione personale, nel proprio paese, infiammato da un auto-indottrinamento, spesso ottenuto via internet (ormai terra di ispirazione e fascinazione del jihad), per compiere atti dal forte effetto simbolico. Non è la prima volta che succede: pensare, per esempio ai killer di Woolwich, Sudest di Londra, che lo scorso maggio hanno ucciso un soldato inglese a colpi di machete urlando “Allahu akbar” davanti ai testimoni che riprendevano, sbalorditi, la scena con i propri smartphone. Non c’era un piano, o almeno uno specifico: l’idea era di colpire un soldato – il fatto avvenne a pochi metri dalla caserma della Royal Artillery, l’uomo ucciso indossava una maglia dell’associazione Help for heroes, che aiuta i militari feriti in battaglia. Scena analoga, fortunatamente sventata, sarebbe dovuta succedere in Australia: a settembre l’intelligence locale ha bloccato una quindicina di militanti a Sidney nella più imponente operazione anti-terrorismo della storia del paese. Erano pronti ad uccidere un occidentale, decapitandolo, e riprendendo il gesto con le telecamere per poi postarlo in Rete.

Si temeva da tempo che la guerra civile in Siria potesse essere fonte di “terrorismo di ritorno”, dato l’alto numero di foreign fighters partiti anche da Paesi occidentali: ora, con la creazione del Califfato tutto si moltiplica esponenzialmente. Da notare, che per ora non ci sono collegamenti diretti tra l’IS e i fatti newyorkesi e canadesi, se non l’esultanza in rete dei seguaci di Baghdadi, e le posizioni apertamente radicali – e pro-Stato Islamico – degli aggressori, ricostruite con le prime indagini.

A settembre, però, prima dell’inizio delle operazioni aeree contro lo Stato Islamico in Siria, il portavoce (e intimo) del Califfo Abu Mohammed al Adnani al Shami era apparso in un lungo video in cui chiedeva ai simpatizzanti dell’organizzazione di cominciare una campagna di rappresaglia all’interno dei Paesi occidentali che fanno parte della Coalizione internazionale “anit-IS” (ai tempi attiva solo in Iraq). «Se potete, uccidete un infedele americano o europeo, specialmente uno schifoso francese, o un australiano o un canadese, o un qualsiasi altro infedele tra gli infedeli che hanno dichiarato guerra, inclusi i cittadini dei paesi che hanno formato una coalizione contro lo Stato islamico», diceva Adnani. E invitava ad uccidere in qualsiasi modo: se non avete una pistola, organizzatevi con arme improprie, al limite investitelo con l’automobile, oppure spaccategli la testa con una pietra, diceva.

Quelle di New York e del Canada, erano persone che non erano state in Siria o in Iraq a combattere sul campo, cittadini è vero controllati e spesso finiti nelle “liste dei pericolosi” per comportamenti al limite, ma che poi hanno portato le proprie posizioni al parossismo dell’attacco. Diverso, per esempio, il caso di Medhi Nemmouche, l’attentatore che aveva ucciso quattro persone al museo ebraico di Bruxelles, del quale si sono ricostruite le rotte e si pensa possa aver avuto un soggiorno di almeno un anno in Siria, tra gli uomini di Baghdadi. Un caso di “terrorismo di ritorno” vero e proprio.

La fascinazione del Califfato è potente, quanto pericolosa. Non serve muoversi da casa, basta una connessione internet per essere al centro della battaglia: l’attività sui social network è seguita e studiata proprio per questo. È sufficiente un’auto o una pietra per colpire e essere un mujaheddin. Questo è quello che vuole Baghdadi e che predica Adnani.

Anche a Gerusalemme, dove la jihad che combatte Hamas è lontana ideologicamente da quella del Califfo – e il Califfo per questo non ama il gruppo – ci sono stati episodi analoghi. Un ragazzo palestinese, a quanto pare vicino agli ambienti radicali dell’organizzazione di Gaza, si è lanciato contro alcune persone alla fermata del tram: la sua auto, mercoledì, ha ucciso una neonata di tre mesi. La mattina seguente un gruppo di palestinesi incappucciati, sempre a Gerusalemme, ha preso a sassate un asilo ebraico.

Sassi e automobili: le nuove armi di questa jihad internazionale, frutto della fascinazione di Khalifa Ibrahim, che supera ogni posizione ideologico e guida la marcia contro gli infedeli. Purtroppo, dovremo abituarci.

@danemblog

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