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Il nuovo accordo decennale sulla cooperazione militare tra India e Stati Uniti segna una svolta nella geometria strategica dell’Indo-Pacifico. È il segnale di una determinazione condivisa a rafforzare deterrenza, interoperabilità e scambio tecnologico, in un contesto di crescente assertività cinese. Ma mentre a Mumbai il premier Narendra Modi presenta la sua visione per trasformare l’India in una potenza marittima globale, la nave cinese di ricerca oceanica Shen Hai Yi Hao naviga verso l’Oceano Indiano: un promemoria eloquente che la competizione per il controllo dei mari è già in corso.

Un doppio binario: partnership e autonomia

L’accordo annunciato a Kuala Lumpur dal segretario alla Guerra statunitense Pete Hegseth e dal ministro indiano Rajnath Singh fornisce una cornice di indirizzo politico per l’intera relazione militare tra i due Paesi. Arriva dopo mesi di tensioni legate ai dazi del 50% imposti da Donald Trump e alle sanzioni accessorie per l’acquisto di petrolio e armi dalla Russia. Il nuovo quadro strategico ristabilisce la fiducia e consolida la difesa come pilastro centrale dei rapporti bilaterali, rafforzando l’idea di un Indo-Pacifico libero, aperto e basato sulle regole.

Oltre al valore simbolico, l’intesa codifica l’interoperabilità tra le forze armate dei due Paesi e apre la strada a trasferimenti tecnologici e collaborazioni industriali nel settore della difesa. Per Nuova Delhi, ciò rappresenta al tempo stesso un’opportunità e un vincolo: aumenta la capacità di deterrenza e apre alla possibilità per l’accesso a piattaforme avanzate come gli F-35, ma impone di preservare una delicata autonomia strategica nei confronti sia di Washington sia di Mosca. Inoltre, irrobustisce la competitività marittima indiana, dimensione sempre più predominante per la geostrategia di New Delhi, attraverso l’aumento delle collaborazioni con gli Usa.

La svolta marittima dell’India di Modi

D’altronde, intervenendo al Maritime Leaders Conclave di Mumbai, Modi ha collegato il futuro marittimo dell’India al suo passato civile e culturale. Citando l’eredità dei Chola e dei Maratha, ha descritto un “rinascimento marittimo” volto a trasformare l’India da potenza continentale a nazione marittima. La sua India Maritime Initiative riassume un decennio di riforme strutturali: la capacità portuale è raddoppiata, il traffico merci ha superato 1,5 miliardi di tonnellate e i tempi medi di attracco si sono dimezzati.

La flotta battente bandiera indiana è cresciuta del 28%, e il Paese fornisce oggi il 12% dei marittimi qualificati a livello globale. Porti come Vizhinjam, Kandla e Jnpt stanno diventando laboratori di logistica verde e integrazione digitale, mentre progetti come il porto di Vadhvan incarnano la fusione tra politica industriale e connettività. Come analizzato da Cnky, la formula di Modi — “Reform, Perform, Transform” — riflette una visione tecno-nazionalista in cui la forza marittima sostiene crescita economica, sicurezza energetica e proiezione geopolitica.

La sfida delle profondità

In uno scenario internazionale segnato fluttuazioni geopolitiche, la dimensione marittima è più che una vocazione, una necessità per un Paese come l’India, circondata dal mare su tre lati. L’arrivo, nei giorni scorsi, nell’Oceano Indiano della nave di ricerca cinese Shen Hai Yi Hao, diretta verso le Maldive e dotata di un sottomarino capace di scendere fino a 7.000 metri, rende evidente la posta in gioco. Nuova Delhi considera queste missioni operazioni a duplice uso: ufficialmente scientifiche, ma potenzialmente legate alla mappatura dei fondali, al dispiegamento di sottomarini e all’esplorazione di risorse sottomarine.

L’India non può permettersi di restare spettatrice. Il suo futuro dipende dal dominio del mare non solo come via commerciale ma come frontiera strategica. Nell’Oceano Indiano scorrono le linee di comunicazione che trasportano energia, dati e merci, e che alimentano la sua economia digitale. Garantire la sicurezza di queste arterie — che includono anche i cavi sottomarini — significa consolidare la capacità di proiezione, la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica.

Dall’Oceano Indiano all’Indo-Mediterraneo

La dimensione geopolitica si estende ben oltre la regione immediata. Attraverso iniziative come l’India–Middle East–Europe Corridor (Imec), Nuova Delhi punta a collegare i propri porti alle reti mediterranee, intrecciando logistica, energia e infrastrutture digitali. Lo stesso asse marittimo potrebbe presto trasportare non solo merci ma anche dati e tecnologie verdi, ridefinendo il ruolo globale dell’India.

La convergenza tra il nuovo patto di difesa con gli Stati Uniti e la visione marittima di Modi rivela una strategia coerente: consolidare la talassocrazia indiana — il dominio dei mari — come strumento di sovranità nazionale, resilienza economica e avanzamento tecnologico.

L’Oceano Indiano, un tempo periferico, diventa oggi il cuore della proiezione di potenza indiana. Mentre una nave cinese ne esplora le profondità, la sfida per l’India è saper “emergere” — ancorando il proprio destino marittimo sui due pilastri della partnership e dell’autosufficienza in un’era in cui Donald Trump riconosce la Cina come unica potenza all’altezza degli Usa parlando di “G2”.

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