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“Après Bayrou la sixième république”, se fallisce Francois Bayrou, il nuovo premier incaricato dal Presidente Macron, si sente ripetere a Parigi, non resta che cambiare nuovamente la Costituzione e dare il via alla sesta Repubblica francese.

Nel labirinto della crisi non soltanto politica, ma anche drammaticamente economica, nella quale da anni si sta avvitando la Francia, le chances di Bayrou di formare un governo che ottenga la fiducia dell’Assemblée Nationale e metta in sicurezza il bilancio del Paese gravato da un debito pubblico che supera il 6% del Pil, oscillano fra il 45 e il 50% delle probabilità.

Per trovare l’uscita del labirinto e bypassare la crisi, invece che il mitologico filo di Arianna, il neo primo ministro conta sul filo di Marianna, l’eroina la rappresentazione nazionale della Repubblica francese e dei suoi valori: Liberté, Égalité e Fraternité. “Penso che ognuno sia consapevole che bisogna trovare una strada, unendo invece che dividendo. Penso che la riconciliazione sia necessaria” sono state non a caso le prima parole pronunciate da Bayrou.
Presidente del MoDem, principale partito di centro, 73 anni, politico di lungo corso, cattolico praticante e uomo di mediazione, Bayrou ha ereditato la metodicità della sua famiglia di agricoltori e piuttosto che affrontare frontalmente gli ostacoli ha già iniziato a tentare di aggirarli.

Nonostante l’asprezza della reazione a caldo di Marine Le Pen: “se le sue politiche saranno un’estensione del macronismo fallirà”, la seconda parte della dichiarazione della leader del Rassemblement national è stata molto meno tranchant: “Preoccupati per l’urgenza di proteggere i francesi, gli chiediamo di intraprendere ciò che il suo predecessore non ha voluto fare. Ascoltare e ascoltare le opposizioni per costruire un bilancio ragionevole e ponderato”. Un’ attendismo confermato dal segretario del Rassemblement National, Jordan Bardella: “Non ci sarà alcuna censura a priori nei confronti del futuro governo guidato da François Bayrou, ma restano le nostre linee rosse”.

“Cominciamo bene”, è invece il commento di netta chiusura del leader de la France Insoumise, Jean Luc Melenchon, che nella dichiarazione sui social neppure cita Bayrou, ma preannuncia che il suo partito presenterà subito una mozione di sfiducia contro il governo che sta per nascere.

L’ago della bilancia resta il Partito Socialista, che per il momento ha ribadito che resta all’opposizione. Il segretario del Ps, Olivier Faure, sottolinea che, “scegliendo ancora una volta un premier del suo stesso campo, il Presidente della Repubblica si assume la responsabilità di aggravare la crisi politica e democratica nella quale ha gettato il Paese dopo lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. Nominando Bayrou – accusa Faure – Macron sceglie la continuità e ancora una volta disprezza il desiderio di cambiamento espresso al voto del 7 luglio scorso”.

Dietro il muro contro muro di un Parlamento diviso in tre blocchi contrapposti sono però già in corso trattative. Punto di partenza del neo premier, meno rigido del predecessore, saranno gli appigli sugli scogli sui quali è naufragato il governo di Michel Barnier.

Mentre l’Eliseo intende guadagnare tempo e varare una legge per scongiurare la mancata approvazione del bilancio, le opposizioni già incalzano l’esecutivo che sta per essere formato. Tanto che Bayrou non potrà fare a meno di presentare la sua lista di ministri nei prossimi giorni.

Tuttavia il governo, secondo i sondaggi, è positivamente atteso dai francesi, tanto che François Bayrou, fin da quando era indicato nel totoministri come futuro possibile premier ha conquistato in un mese ben 8 punti di popolarità.

Diverso l’impatto della crisi sull’opinione pubblica. Il 61% dei francesi si dice preoccupato per la situazione. Il 41% auspicava un premier apolitico, 23% lo avrebbe voluto di sinistra, 17% del Rassemblement National, e solo il 6% macroniano. Nei sondaggi il gradimento del presidente francese continua a precipitare e nell’ultima rilevazione, realizzata dall’istituto Elabe per Les Echos, raccoglie la fiducia di appena il 21% dei francesi, il livello più basso dal suo arrivo all’Eliseo nel 2017.

Sembrano ormai preistoria i giorni della grandeur elettorale di Emmanuel Macron, quando il più giovane presidente di tutte e cinque le Repubbliche francesi ripeteva la frase del Generale De Gaulle: “Quando voglio sapere cosa ne pensa la Francia, lo chiedo a me stesso”.

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