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“Per la tutela della sicurezza nazionale, devono essere previsti criteri di premialità per le proposte o per le offerte che contemplino l’uso di tecnologie di cybersicurezza italiane o di Paesi appartenenti all’Unione europea o di Paesi aderenti alla Nato”. È il passaggio centrale di un emendamento votato ieri sera dai partiti di maggioranza (astenute le opposizioni), che hanno dato il via libera al disegno di legge sulla cybersicurezza. Il testo è atteso la prossima settimana in Aula.

Se passasse l’emendamento al disegno di legge, sarebbero premiate le aziende di Unione europea e Nato a scapito di quelle di Paesi come Russia (già ristrette a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina) e Cina (però non ci sono aziende di cybersicurezza cinesi che operano nel nostro mercato). Ma anche Israele, che non è nell’Unione europea né nella Nato ma è considerato un major non-Nato ally dagli Stati Uniti dal 1987 ed è uno degli Stati più all’avanguardia in ambito di sicurezza informatica. In queste ore si sta lavorando per trovare una soluzione che possa unire le ragione di sicurezza nazionale e le necessità in termini di innovazione.

In ogni caso, l’emendamento sembra suggerire la volontà di ricercare l’autonomia strategica non soltanto in ambito Unione europea (come indicato dallo Strategic Compass sottoscritto da tutti i Paesi membri, compresa l’Italia) ma anche in quello Nato, dove da Paesi come gli Stati Uniti arrivano soluzioni già pronte all’uso. In questo senso, va segnalato anche il dibattito sulle certificazioni europee del cloud che sta accendendo l’Unione europea in questi giorni, con i principali attori dell’industria europea (tra cui Airbus, OVHcloud, Orange, Deutsche Telekom, Telecom Italia e Proximus) che hanno criticato la recente decisione dell’Agenzia europea per la sicurezza informatica che non farebbe più distinzioni tra i fornitori di servizi cloud in base alla loro origine.

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