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Nella conferenza dei cosiddetti mille giorni o – se si preferisce – del “passo dopo passo”, è apparso con tutta evidenza che siamo in presenza di un vero e proprio monocolore Renzi, e non di un monocolore Pd, come pur si era da più parti affermato e lamentato.
Occorre pertanto avvalersi proprio di questa interpretazione anche per vicenda che ha portato Federica Mogherini a diventare Lady Pesc.

Anche per lei, infatti, si può dire che occorre attendere almeno mille giorni per capire se il suo incarico in Europa si è tradotto in una vera e propria novità europea, come potrebbe essere quella di un vero e proprio sviluppo verso una politica estera e di difesa comune per tutta l’Unione Europea.

Sappiamo infatti che all’origine del processo di integrazione europea vi è stata ad un tempo sia la sconfitta del progetto della Comunità europea di difesa comune, sia l’orgogliosa aspirazione verso ipotetici Stati uniti d’Europa.

È di tutta evidenza infatti che la sconfitta del progetto di Comunità europea di difesa continua a far sentire la propria rilevantissima influenza proprio sul fatto che due grandi Paesi – la Francia e la Gran Bretagna – mantengono una qualche rigorosa autonomia militare nazionale che comprende persino una seppur modesta difesa nucleare.
La mancanza dell’approdo ad una qualunque idea di Stati uniti d’Europa rende pertanto a sua volta impossibile definire in termini seriamente comunitari una qualche comune politica estera, come anche la recentissima vicenda ucraina sta dimostrando.

Spetterà dunque a Federica Mogherini riuscire a oscillare tra un fallimento e una utopia, per dimostrare che si è trattata di una decisione strategica tendente proprio a far compiere all’intera Unione europea un sostanziale passo avanti verso la costruzione di una comune difesa e di una comune politica estera.
Lady Pesc ha molto saggiamente affermato di essere consapevole che si tratta di un “impegno immane”: sta ora a lei dimostrare se tra mille giorni dovremo constatare un fallimento altrettanto immane o un qualche significativo successo del quale ovviamente la Mogherini stessa avrebbe il merito maggiore.

Ma non si è trattato soltanto di una scelta compiuta nel senso dell’integrazione europea, attuale e di prospettiva.
Occorre infatti aver presente che Matteo Renzi sta giocando una fondamentale partita che tende a fare del Partito democratico non più un’ amalgama tra ex comunisti e ex democristiani, ma un soggetto politico veramente nuovo sia in Italia sia nel panorama europeo.
Da questo punto di vista la scelta della Mogherini è parte essenziale di quel processo di costruzione del nuovo Partito democratico che Matteo Renzi sta portando avanti con una tenacia che fino a ora non ha trovato ostacoli significativi.

Ma vi è infine anche un profilo più strettamente personale: quello del rapporto fiduciario tra Renzi e il Ministro degli Affari esteri.
Si tratta di una questione che fino a ora è stata prevalentemente esaminata in termini di rimpasto del Governo in carica.
Non di rimpasto si tratta, proprio perché quello in carica è un monocolore Renzi e non un monocolore Pd, o ancor meno un Governo di coalizione.

La scelta del nuovo Ministro degli Esteri sarà pertanto esaminata anche alla luce dei rapporti di fiducia personali esistenti tra Renzi e il nuovo Ministro degli Esteri.
Non solo Europa, dunque, per Federica Mogherini: sono tre infatti le letture necessarie per poter comprendere in modo adeguato una scelta che a prima vista è apparsa incomprensibile a più di un attento osservatore.

Il governo Renzi è un monocolore Pd?

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