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Dopo mesi di trattative, alla fine i chipmakers coreani sono riusciti a convincere il governo americano della necessità di allentare i controlli sulle esportazioni di equipaggiamento e macchinari per la produzione di chip, nei rispettivi impianti in Cina. Lo riporta l’agenzia di stampa Yonhap News. Samsung possiede una fab Nand a Xian, nella provincia dello Shaanxi, mentre SK Hynix sta ultimando la seconda fonderia a Dalian, nel Liaoning.

Il pericolo è che le due aziende, già vessate da un ciclo al ribasso nella domanda di elettronica di consumo che colpisce i rispettivi core business, potessero ulteriormente perdere terreno, con un’emorragia di profitti che, nello spietato mercato dei chip, può essere fatale per sostenere i crescenti costi di capitale e di investimenti per restare sul mercato e sulla frontiera tecnologica.

L’industria dei semiconduttori è infatti strutturalmente ciclica, con periodi di boom-and-boost che influenzano le strategie di mercato dei player, specialmente di quelli posizionati sull’elettronica di consumo (smartphone, tablet e altri dispositivi) che devono spesso fare i conti con crollo della domanda e dunque dei prezzi dei chip di memoria.

Samsung Electronics e SK Hynix sono infatti due importanti player nel segmento dei semiconduttori di memoria, operando attraverso un business model integrato (IDM) tra design e manifattura di chip Nand e Dram. Nel 2022, lo share di mercato delle due aziende si attestava rispettivamente al 48 e al 30% per i chip Dram, seguite dall’americana Micron Technlogy al 22%. Una percentuale più o meno simile anche per per quanto concerne le entrate nel segmento, e che secondo le prime stime è rimasta la stessa anche per il primo semestre del 2023.

Da un punto di vista geografico, l’esposizione di Samsung per il secondo quadrimestre del 2023 ha visto il prevalere degli Stati Uniti come mercato per percentuale di entrate, con il 36% seguito dall’Europa (19%), dal mercato domestico (17%) e dalla Cina (10%) che tuttavia rimane, come detto, un importante hub per le attività produttive di Samsung. L’azienda coreana, che insieme a Intel e Tsmc condivide il podio dei chipmakers capaci di sostenere costi e tecnologie per la miniaturizzazione dei nodi dei semiconduttori, a partire dal 2017 ha iniziato ad investire massicciamente per espanderele sue capacità produtive (foundry) e assicurarsi clienti di altissimo profilo: nel 2019 Samsung aveva adottato per prima l’equipaggiamento EUV prodotto da Asml per la manifattura di chip da 7 nanometri FinFET, davanti a Tsmc). Samsung punta a lanciare la produzione a 2 nanometri nel 2025.

Ma con l’approfondirsi della “guerra” tecnologica tra Stati Uniti e Cina, l’accesso ai macchinari avanzati è diventato problematico, soprattutto per un’azienda come Samsung che vende ma soprattutto possiede fab in Cina, con il rischio così di non ottemperare alle normative statunitensi. Proprio per cautelarsi, Samsung e SK Hynix avevano ottenuto dal governo americano una deroga per l’importazione nei loro impianti cinesi di macchinari avanzati, che sarebbe tuttavia scaduta alla fine di ottobre 2023. La Cina è infatti un hub manifatturiero enorme per le due aziende: secondo un report di Fitch, conta per il 40% della capacità produttiva (wafer-per-month) nel segmento Nand di Samsung e tra il 40 e il 50% di quella Dram per SK Hynix.

Proprio un anno fa, l’entrata in vigore del nuovo pacchetto di restrizioni all’export imposte da Washington hanno riguardato i macchinari EUV per la produzione di chip avanzati, con l’obiettivo di contenere l’ascesa tecnologica della Repubblica Popolare Cinese nel settore, soprattutto per evitarne l’impiego in settori giudicati sensibili per la sicurezza nazionale (AI, 5G etc.). Tuttavia, come è emerso da un’indagine sul nuovo microprocessore fabbricato da Smic per Huawei e dal possibile aggiramento dei controlli sulle esportazioni sul know-how americano nel segmento design tramite il ricorso all’architettura Risc-V, il reticolo delle restrizioni americane potrebbe presentare alcuni punti deboli.

Vi è poi la forte pressione dei chipmakers americani, che hanno più volte spiegato al governo americano – anche tramite l’azione di lobbying della Semiconductor Industry Association (SIA) – dell’importanza di non perdere l’accesso al mercato cinese, dal momento che i profitti derivanti rimangono essenziali per sostenere gli investimenti e il circolo virtuoso d’innovazione di cui hanno beneficiato gli stessi Stati Uniti.

Un argomento che, plausibilmente, hanno avanzato le due aziende coreane e che risulta ancor più valido considerando il ciclo negativo cui sono attualmente esposte: secondo le ultime stime per il terzo quadrimestre, Samsung potrebbe registrare una perdita di utili di 2.4 trilioni di won, un crollo di quasi l’80% dal momento che il principale segmento di profitto dell’azienda (i semiconduttori) rimane sotto pressione per via del contesto macroeconomico incerto. Secondo Counterpoint Research, il 2023 si chiuderà come l’anno peggiore per le spedizioni di smartphone nell’ultimo decennio, con un declino del 6% dei dispositivi venduti che si attesteranno sui circa 1.2 miliardi di unità. In una call con gli investitori a luglio, Samsung ha rimarcato come “i rischi macroeconomici” potrebbero sfidare le stime più positive per l’ultima parte dell’anno.

Resta il fatto che le due aziende devono tenere conto del più ampio contesto geopolitico, che vede la Corea del Sud comunque allineata con il controllo delle esportazioni di tecnologie sensibili per la fabbricazione di chip avanzati varato dal Dipartimento del Commercio americano. Tema che il governo di Taiwan vede sempre più cruciale, soprattutto per i possibili impieghi militari dei chip da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione e il possibile leak di tecnologie gelosamente custodite sull’isola.

Un elemento che rimane anche centrale per poter beneficiare degli incentivi del Chips Act: secondo le clausole della legge, poter accedere ai fondi federali richiede di non espandere le capacità manifatturiere in “foregin entity of concern (Feoc)” per dieci anni (come la Cina) e restringere le attività di joint venture o le licenze tecnologiche ad entità Feoc. Infine, i potenziali recipienti dei fondi non possono espandere le capacità per chip avanzati (leading-edge) per più del 5% e di chip maturi (legacy) del 10%.

Dal momento che Samsung gestisce una fonderia ad Austin, in Texas, e pianifica una nuova fab con tecnologia da 4 nanometri nella città di Taylor, in Michigan, l’azienda è dunque obbligata a rispettare la normativa statunitense. Considerando le tensioni geopolitiche crescenti, è plausibile aspettarsi che Samsung, più che SK Hynix, possa essere incentivata a riportare la produzione di tecnologia avanzata Nand in Corea, approfittando specialmente di una domanda in forte calo che giustificherebbe un taglio della capacità attualmente localizzata in Cina. Un trend verso il reshoring delle fonderie che vede anche il Giappone in prima fila.

Chip, gli Usa approvano le fonderie di Samsung e SK Hynix in Cina

I chipmakers coreani, Samsung Electronics e SK Hynix, hanno ottenuto l’approvazione del governo americano per poter utilizzare equipaggiamento per la produzione di semiconduttori nei loro impianti in Cina. Le due aziende hanno registrato numerose perdite, soprattutto per il ciclo ribassista del mercato

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