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L’incontro di giovedì tra il presidente americano Joseph Biden e il presidente il consiglio italiano Giorgia Meloni è un importante successo per Roma ma non è privo di insidie.

Il punto centrale sarà la benedizione Usa alla promessa italiana che l’accordo con la Cina sulla Via della Seta sarà rescisso. Essa è però solo una promessa non è una realtà.

Non è affatto chiaro come e in che termini l’Italia si ritirerà dall’accordo che Pechino ritiene vitale. La Cina potrebbe volere una ritorsione contro l’Italia in caso di strappo anche per dissuadere altri riottosi. Infatti gli Stati Uniti, con un rapporto sempre più teso con la Cina, potrebbero fare pressioni anche su altri Paesi perché si ritirino dalla Via della Seta.

Dopo il viaggio a Washington, davanti a minacce e blandizie di Pechino, non è chiaro come reagirà l’Italia, certo non un bastione di fermezza granitica.

Il rischio non banale è che l’Italia alla fine pasticci una diversa intesa con la Cina che scontenti nuovamente gli Stati Uniti.

Prudenza avrebbe voluto che Roma si fosse recata a Washington già con una soluzione definitiva su Pechino. Ma così non è.

La realtà forse è banale. Il governo Meloni non ha un’idea chiarissima su come risolvere la questione cinese ma intanto, per equilibri interni, vuole incassare subito il consenso americano anche se domani potrebbe pagare lo scotto di nuove ire.

Forse il viaggio serve a mettere una putrella a una compagine che legge tutti i giorni sui quotidiani retroscena su un rimpasto, conditi da una serie di attacchi al presidente del Senato Ignazio La Russa, sotto l’ombra della vicenda del figlio accusato di stupro.

Quest’ultimo sviluppo ha ripercussioni internazionali. È la seconda carica dello stato ma La Russa si è infilato nella vicenda familiare a piè pari, prima con la storia della Sim del figlio intestata al padre e poi con una dichiarazione a favore del ragazzo.

Il Presidente Sergio Mattarella non pare felicissimo degli sviluppi tanto che, durante il recente viaggio in Sudamerica non ha lasciato La Russa in carica, come di consuetudine. Inoltre fra l’opposizione circola l’idea di assentarsi in massa a un prossimo voto della Camera alta italiana.

È probabile comunque che le difficoltà del presidente del Senato non degenerino. Le opposizioni non paiono sul sentiero di guerra su questa o altre vicende, né gli Usa, con tante palle in aria, sono interessati a premere troppo sulla cosa.

Inoltre è improbabile che Meloni, che ha già ruggini con il suo leader romano Fabio Rampelli, voglia aprire una diatriba con leader milanese La Russa. Il partito rischierebbe di non reggere. Ma se l’appoggio che Meloni raccoglierà fra qualche giorno a Washington poi fosse tradito fra qualche mese è probabile che gli Usa si impunterebbero e tante ferite si riaprirebbero.

Sono ipotesi, certo, ma certo anche che la questione cinese, dal 27 luglio in poi, diventa centrale e molto più importante della guerra in Ucraina, forse quasi agli sgoccioli. E sulla Cina il governo e il Parlamento sono molto impreparati e fragili. Molto di più che sulla Russia.

Meloni a Washington, occhi puntati al Memorandum cinese. Scrive Sisci

Il punto centrale del viaggio negli Usa di Giorgia Meloni sarà la benedizione americana alla promessa italiana che l’accordo con la Cina sulla Via della Seta sarà rescisso. Il commento di Francesco Sisci

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