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Se c’è un referendum che ha un carattere radicalmente, esclusivamente e quasi scientificamente politico/partitico è quello che si celebra il prossimo 8/9 giugno. Del resto, chi quotidianamente indica questo obiettivo sono proprio i promotori. A cominciare dal leader indiscusso di questo schieramento, cioè il segretario generale del sindacato rosso, ovvero la Cgil di Landini. Obiettivo a cui si sono prontamente ed immediatamente accodati i 3 partiti della sinistra. Quella radical/ massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte e quella estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. E l’obiettivo è solo e soltanto uno: ovvero ottenere un voto in più dei consensi avuti dal centrodestra alle ultime elezioni politiche.

Ora, che cosa centra questo obiettivo con i quesiti referendari è, di fatto, un mistero. Anzi, l’obiettivo l’hanno colto tutti molto bene ed è radicalmente estraneo ed esterno rispetto ai contenuti e alle ragioni dei quesiti referendari. Perché le finalità dell’operazione sono esclusivamente due e prescindono, come ovvio, dal raggiungimento del quorum. Da un lato la voglia indomita del capo della Cgil Landini di porsi in modo irreversibile come il leader più autorevole, se non addirittura esclusivo, del “campo largo” della sinistra italiana in vista delle prossime elezioni politiche. Dall’altro l’esca del referendum serve per ridisegnare i rapporti di forza all’interno dei vari partiti della sinistra italiana. A cominciare, soprattutto, dal Pd dove l’attuale segretaria nazionale deve sancire che le politiche del lavoro d’ora in poi saranno quelle decise dalla sua gestione. E non più quelle derivanti dalle precedenti leadership di quel partito.

Due obiettivi, due finalità e due scopi che prescindono, appunto, radicalmente dai singoli quesiti referendari che sono solo funzionali per perseguire un risultato politico che è ormai evidente a tutti. Almeno a coloro che non vivono con i paraocchi dell’ideologia e delle pregiudiziali politiche e personali. Non è un caso se, del resto, proprio sui quesiti che attengono al mondo del lavoro e alla regolamentazione normativa di questo settore, si registra l’ennesima rottura del sindacato e tra le relative confederazioni. Ovvero tra il sindacato che ha un’anima riformista e attento al compito e alla ‘mission’ di un’organizzazione sindacale come ad esempio la Cisl e quelle sigle, peraltro importanti e storiche, che invece perseguono un obiettivo scientificamente politico e di schieramento politico.

Per non parlare delle dichiarazioni vergate a raffica ogni giorno dai capi dei partiti di sinistra che fanno a gara ad attaccare a testa bassa – tutto secondo copione, del resto – il Governo, la sua maggioranza e le singole scelte dell’esecutivo Meloni. Ecco perché, al di là della specificità che ha caratterizzato ogni singolo referendum dall’inizio degli anni ‘70 in poi – diversi l’uno dall’altro perché rispondevano a logiche politiche e culturali molto diverse tra di loro – è indubbio che quelli che si votano il prossimo 8/9 giugno hanno un percorso del tutto originale. E cioè, attaccare frontalmente il Governo Meloni per rafforzare l’alternativa politica alla maggioranza. Obiettivo del tutto legittimo come ovvio ma del tutto estraneo ai contenuti del referendum. Ed è bene dirlo con forza e determinazione per evitare ridicole prese in giro e plateali, se non addirittura grottesche, interpretazioni e letture che vengono veicolatie quotidianamente dagli esponenti del cosiddetto campo largo o ex campo largo che sia.

Il referendum? Solo politico. L'opinione di Merlo

Al di là della specificità che ha caratterizzato ogni singolo referendum dall’inizio degli anni ‘70 in poi – diversi l’uno dall’altro perché rispondevano a logiche politiche e culturali molto diverse tra di loro – è indubbio che i quesiti che si votano il prossimo 8/9 giugno hanno un percorso del tutto originale. L’opinione di Giorgio Merlo

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