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La principale sigla sindacale del Niger ha chiesto al governo di disporre il ritiro di “tutte le forze straniere” presenti sul territorio, ritenute incapaci di garantire la sicurezza degli abitanti. Il riferimento è alle forze francesi delle operazioni Barkhane e a Takuba, quest’ultima europea, coordinata da Parigi ed alla quale partecipa anche l’Italia, entrambe presenti sul territorio dopo che la scorsa estate si è concluso il ritiro francese dal Mali. Cosa sta succedendo nella regione? Formiche.net lo ha chiesto a Marco Di Liddo, analista senior presso il CeSI, Centro Studi Internazionali.

Cosa sta succedendo nella regione saheliana in relazione a questo episodio?

L’intera Africa occidentale e in particolare la fascia del Sahel ha sempre nutrito un sentimento anticoloniale in generale e antifrancese in particolare per i trascorsi che la Francia ha avuto come potenza coloniale. Non è un caso che il Che Guevara africano, ovvero Thomas Sankara, sia nato in Burkina Faso e sia stato un’ispirazione per il panafricanismo di stampo socialista. Oggi accade che questo sentimento si è particolarmente acuito da quando i francesi sono intervenuti in Mali nel 2013 con una presenza muscolare e molto visibile che non è riuscita di fatto a raggiungere gli obiettivi.

Il terrorismo e l’insorgenza nel Sahel non hanno fatto che aumentare dal 2013 ad oggi: le sigle sono più numerose e più nutrite, il numero di attacchi è cresciuto. Aggiungiamo il fatto che per nessun governo del Sahel è facile tenere in casa un contingente dell’ex odiata madrepatria, a prescindere dall’orientamento politico o dall’estrazione più o meno democratica. Dopo che i francesi sono dovuti andare via dal Mali, la stessa cosa è avvenuta in Burkina Faso. Adesso in Niger vediamo l’ultima cresta di quest’onda. Il Niger è l’altro grande Paese che ospita contingenti francesi da tanto tempo e che ha una presenza francese molto influente anche a livello politico ed economico. Non dimentichiamo che le miniere di Uranio nel nord del Niger sono operate e controllate da società francesi e sono il pilastro dell’approvvigionamento francese in materia nucleare, sia civile che militare.

Cosa ci dice il fatto che la pressione sul governo nigerino arrivi da una sigla sindacale?

Il Niger è un Paese che, come il Ciad, vede un controllo molto forte dell’apparato militare e dei gruppi di interesse su tutta la vita pubblica. Quindi le sigle sindacali e tutte quelle organizzazioni che in regimi democratici maturi esprimono posizioni in opposizione al governo e sono indipendenti, lì non lo sono. Dunque è interessante che arrivi da una sigla sindacale, perché parliamo di un’organizzazione che è a cavallo tra la società civile e la sfera istituzionale.

Anche l’Italia ha un ruolo nel Paese africano.

Indubbiamente c’è un ruolo italiano con la missione bilaterale di supporto Misin, che è una missione di cooperazione che serve a contrastare la criminalità, i traffici illeciti e i gruppi terroristici in supporto alle forze armate locali. Il ruolo italiano, in termini di numeri e di “passato”, non è paragonabile a quello francese. E poi, a essere onesti, l’Italia ha un approccio sulle missioni all’estero che ci invidiano in tutto il mondo perché è un approccio attento alle esigenze e peculiarità delle popolazioni locali. Un approccio più discreto e meno invasivo di altre realtà.

A chi si rivolgono i governi dell’area per quanto riguarda la sicurezza dopo aver allontanato le forze francesi?

Abbiamo già visto che il Mali si è rivolto alla Russia e al Wagner Group. La Wagner arriva nei teatri in cui opera con un pacchetto ben definito: assistenza militare, sfruttamento delle risorse minerarie e consulenza politica. Dopo il Mali potrebbe toccare al Burkina Faso e l’ultimo passaggio potrebbe poi essere il Niger. Ma dobbiamo essere molto cauti. C’è un aspetto importante che differenzia il Niger dagli altri due Paesi: le miniere di uranio. Io non so quanto la Francia sia disposta a rinunciare a questi interessi nel Paese.

Perché il Niger non vuole più soldati francesi. Il punto di Di Liddo (CeSI)

“L’intera Africa occidentale e in particolare la fascia del Sahel ha sempre nutrito un sentimento anticoloniale in generale e antifrancese in particolare”. Il rischio però è che arrivino i russi con la Wagner. E sull’uranio… Conversazione con Marco Di Liddo, analista senior presso il CeSI, Centro Studi Internazionali

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