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Il 2022 si è concluso con l’annuncio dell’accordo tra i paesi europei sul tetto al prezzo del gas. Un risultato diplomatico salutato con grande entusiasmo ma allo stesso tempo controverso, per efficacia e risultati attesi. Quello che è invece innegabile, è l’ormai consapevolezza di una necessaria maturità dell’Unione Europea di fronte al mutato contesto internazionale, specialmente di fronte alla guerra in Ucraina.

L’utilizzo geopolitico del gas, insieme alla nuova offensiva degli Stati Uniti sui semiconduttori, hanno d’altronde segnalato, in modalità e fini differenti, quanto le dipendenze da paesi ritenuti ostili – siano esse energetiche e tecnologiche – possano avere profonde influenze. E, al contempo, quanto le profonde interconnessioni costruite nell’epoca precedente alla pandemia siano diventate, oggi, una seria preoccupazione per governi e imprese. Lo dimostra un ritorno alla politica industriale, al ruolo proattivo dello Stato nella protezione dei suoi asset strategici e nel monitoraggio delle supply chains per gestire i rischi emergenti.

In questo senso, se sulla crisi energetica il dibattito sulle sue cause è ancora molto acceso (andando oltre la mera contingenza del conflitto russo-ucraino) sono molto e già più evidenti, invece, le sue lezioni per il futuro nel medio-lungo periodo. Soprattutto per gli obiettivi e le ambizioni dell’Europa che sconta già un duplice ritardo sul piano materiale della transizione energetica e digitale. Si tratta in particolare dei semiconduttori, per i quali a febbraio del 2022 l’Ue ha presentato l’ambizioso European Chips Act con l’obiettivo di raddoppiare la quota di mercato europea dal 10 al 20% entro il 2030, utilizzando diversi strumenti, tra cui la canalizzazione degli incentivi pubblici (tra 2 e 11 miliardi). E in secondo luogo, ma non meno importanti, le materie prime critiche.

Litio, cobalto, terre rare, manganese, gallio, germanio, indio e platinoidi. Una lista che allo stato attuale non include altri importanti input come nickel, rame, grafite e molte altre, dal momento che la metodologia europea tiene conto di dati fermi al 2019 (l’ultima classificazione risale al settembre del 2020), ma che saranno fondamentali per incontrare una domanda europea dovuta alla penetrazione, auspicata, di tecnologia rinnovabili nello scenario di decarbonizzazione più stringente, e all’integrazione delle nuove fonti (solare ed eolico in primis) nelle reti di trasmissione e di stoccaggio dell’energia.

Secondo un recente studio della Commissione Itre del Parlamento europeo, in realtà la dipendenza europea è molto più sbilanciata sui semilavorati e i prodotti tecnologici (come batterie al litio o i moduli fotovoltaici) che non sulle materie prime in sé. In altre settori, come quello emergente per la produzione di idrogeno e di turbine eoliche il rapporto è invertito, con i paesi UE che attualmente esportano prodotti industriali ma rimangono fortemente dipendenti da paesi terzi fornitori di platino, iridio, palladio, manganese, terre rare per i magneti da paesi come Sud Africa, Russia e Cina. Quello che è evidente è che l’accesso alle materie prime diventerà un aspetto sempre più strategico per la competitività delle nascenti industrie europee, rispetto ai concorrenti asiatici, soprattutto cinesi, con un aumento progressivo della domanda. Senza contare i costi, siano essi energetici o relativi agli aspetti normativi ed ambientali, per mantenere operativi, e sostenibili, i settori fondamentali della trasformazione e lavorazione, e l’impatto delle politiche commerciali in risposta a USA e Cina.

Ed è qui che entrano in gioco le mosse della Commissione europea, su un dossier – al pari di quello dei semiconduttori – che necessita tanto di un coordinamento interno ai EU27, quanto esterno, considerando che i paesi alleati (come gli Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada e Giappone) e i partner commerciali ricchi di risorse (America Latina, Indonesia, etc.) sono sul piede di prendere importanti interventi di natura protezionistica, di politica industriale, risk assessment per proteggere le proprie risorse nazionali. Questo alla luce della “criticità” di queste materie prime per la transizione energetica, che è prima di tutto una transizione materiale e industriale.

Una svolta nella strategia europea? Il piano d’azione dell’Unione Europea sui materiali critici è fondato sulla Raw Materials Initiative del 2008, formulata sulla base di tre pilastri: garantirne l’accesso sicuro, sostenibile e competitivo all’industria europea. Da allora, sono state elaborate quattro liste (2010, 2014, 2017 e 2020), secondo una metodologia via via aggiornata e che ha portato a valutare 30 materie prime come ‘critiche’ per l’economia europea e per le quali l’ultimo Action Plan (2020) è stato formulato. Affiancato ad esso, l’Industrial Strategy aggiornata nel 2021 in seguito allo shock pandemico, con un resoconto delle dipendenze più accentuate per 137 prodotti tecnologici a rischio di fornitura (tra cui batterie e chip), l’European Fund for Strategic Investment per un totale di 372 miliardi che include progetti di coesione e sviluppo regionale. Infine, l’utilizzo del framework Ipcei per catalizzare investimenti pubblici e privati in segmenti strategici, come per le batterie, semiconduttori e idrogeno. Iniziative che sono state pensate anche attraverso il coordinamento istituzionale: l’European Raw Materials Alliance (Erma) e la European Battery Alliance (Eba), con quest’ultima che ha gestito una prima tranche di 8.2 miliardi di euro nel 2019 e altri 11.9 miliardi nel 2021.

Una serie di importanti iniziative che tuttavia hanno soltanto iniziato ad affrontare la spinosa questione degli approvvigionamenti, sia esteri (con la negoziazione bilaterale con i paesi fornitori in capo alla Commissione) e la gestione dello sviluppo delle capacità domestiche (in primis quelle minerarie, ma anche di raffinazione) da parte dell’ente delegato, EIT Raw Materials. A tenere insieme, almeno sulla carta, queste misure è stata l’elaborazione – piuttosto discussa – del concetto di ‘autonomia strategica’ ben delineata nel Strategic Foresight Report 2022. Seppur l’importanza delle materie prime sia stata in parte ridimensionata rispetto al rapporto del 2021, le ultime uscite dei policymakers europei evidenziano come la questione sia sempre più incalzante. Il 23 febbraio del 2022, intervenendo ad una conferenza dell’EBA tenutasi un giorno prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il vicepresidente Sefcovic aveva dichiarato: “Non esagero quando affermo che garantire l’approvvigionamento di materie prime critiche è una questione di sicurezza strategica per l’Europa. Direi che è ora o mai più. L’Europa ha quasi 260 depositi di materiali chiave per le batterie, nonché le tecnologie e le competenze all’avanguardia necessarie per la loro esplorazione responsabile e sostenibile. È urgente e necessario […] potenziare le nostre capacità di monitorare le supply chain globali, aiutandoci ad anticipare potenziali crisi e ad agire, ad esempio attraverso lo stoccaggio.”

È evidente come il concetto di autonomia strategica abbia aiutato a prioritizzare la sicurezza sull’efficienza, in una chiara volontà di supportare anche politicamente le industrie fondamentali per la transizione green-tech. Nel corso dell’EU Raw Materials Week tenutasi a Bruxelles a novembre 2022, probabilmente l’appuntamento più gettonato per industriali, politici e lobbisti del settore, la geopolitica infatti è stata al centro delle discussioni e un argomento più volte menzionato per spiegare la portata dello US Inflation Reduction Act (IRA). Si è già discusso su quanto questa misura rischi di aprire un solco, piuttosto che avvicinare, le due sponde dell’Atlantico: i sussidi e gli incentivi per la produzione di batterie negli USA sarebbero addirittura nove volte maggiori rispetto a quelle attualmente previste nei paesi europei. Un divario che ha aperto numerosi interrogativi su come livellare il campo di gioco per l’industria europea, non solo con la Cina. È in questo senso che la competizione tecnologica tra Washington e Pechino sta in qualche modo rimodellando l’approccio europeo, anche indirettamente con le sanzioni americani sui semiconduttori.

Ma per non rimanere schiacciati, ed evitare di entrare in una corsa all’autarchia, serve una strategia che rafforzi al contempo il legame con l’alleato nordatlantico mantenendo volontà e capacità di tutelare i propri interessi. Nel settore delle materie prime, a marzo del 2023, o al più tardi ad aprile, la Commissione presenterà l’European Critical Raw Materials Act. Un’iniziativa annunciata da Ursula von der Leyen a settembre, e che si prefigge l’obiettivo di mettere a terra quasi un decennio di iniziative ma che hanno portato a risultati del tutto insoddisfacenti. Tra gli obiettivi principali, quello di favorire l’industria mineraria continentale: secondo Peter Handley, funzionario al mercato interno al lavoro per i dettagli dell’CRMs Act, potrebbe essere fissato un target del 30% della domanda complessiva che dovrà provenire dai paesi europei per litio, cobalto e terre rare ma anche per metalli di base non inclusi nella lista, come rame e alluminio, data la loro pervasività. Come di recente confermato con l’accordo provvisorio sul regolamento per la gestione delle batterie al litio, un focus primario rimarrà sulle attività di riciclo, riuso e recupero attraverso normative e procurement pubblico.

Sarà importante garantire un afflusso di risorse pubbliche condivise, tenendo conto delle specificità delle industrie nazionali, in particolare dei paesi manifatturieri come Germania e Italia. Secondo un centro di ricerca economico tedesco, Berlino è dipendente al 100% dall’estero per 14 dei 30 materiali critici individuati dalla Commissione. Nel caso dell’Italia, nel suo ultimo bilancio energetico l’Enea di Roma ha invece ricordato che dalle materie prime critiche passa il 32% del Pil italiano, il quale non potrà contare in futuro da una solida base mineraria anche se non il Paese non risulta “completamente sprovvisto”. Tra le diverse proposte raccolte nelle consultazioni pubbliche, si è parlato anche di un “fondo sovrano” per le materie prime e il ricorso agli Ipcei per progetti minerari strategici. Con grande probabilità verrà previsto un meccanismo di anticipazione dei rischi lungo le supply chains, probabilmente coordinato dalla Commissione, e l’impiego di uno strumento di stoccaggio di materie prime comunitario, in caso di ulteriori scenari di conflitto che possano interessarne le catene di approvvigionamento. Infine, un aspetto cruciale rimarrà il sostegno ai progetti esteri, agli investimenti in paesi affidabili sia in termini di sostenibilità che di sicurezza delle forniture, oltre alla probabile revisione della metodologia europea per la classificazione delle materie prime: la quinta lista verrà pubblicata probabilmente nell’autunno del 2023.

In conclusione, la portata della misura legislativa in termini fiscali sarà decisiva per una serie di aspetti: potrebbe sancire l’inizio di una revisione dell’approccio europeo agli aiuti di Stato, oltre ad inaugurare una “corsa al riarmo”, in termini di incentivi, tra Europa, Stati Uniti e Cina; molto probabilmente avrà impatti importanti sul coordinamento euro-atlantico sui dossier di comune interesse, in particolare relativamente alla posizione dominante di Pechino nelle filiere delle rinnovabili e ai meccanismi di aggiustamento per i prezzi del carbonio a livello commerciale.

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