Skip to main content

Se ci trovassimo al volante del Paese, al posto di Giorgia Meloni, ci guarderemmo bene dalla tentazione (fatale) di spingere sull’acceleratore per raggiungere l’agognata meta del presidenzialismo o del semipresidenzialismo. Non foss’altro perché, finora, tutti i tentativi di Grande Riforma non hanno mai giovato alla fortuna dei loro artefici. Persino Alcide De Gasperi (1881-1954), che pure si era limitato a proporre una legge che trasformava una maggioranza assoluta, scaturita dalle elezioni, in una maggioranza parlamentare dei due terzi, si ritrovò battuto e spiazzato. E la sua proposta, ricordiamolo, non aveva nulla di trascendentale: mirava a rafforzare un esecutivo che, grazie alla maggioranza numerica, sarebbe stato già robusto di suo. Ad altri successivi aspiranti riformatori andò ancora peggio, ultimo in ordine di tempo l’ex rottamatore Matteo Renzi.

Anche oltre frontiera, le grandi riforme hanno provocato più autogol di quelli che realizzava il mitico Comunardo Niccolai, difensore del Cagliari e della Nazionale, passato alla storia calcistica per la sua sfortunata propensione a invertire le due porte sul terreno di gioco. Il generale Charles De Gaulle (1890-1970), di sicuro non un pivellino, scivolò proprio su qualcosa di simile, quando era il padrone della Francia: si era messo in testa di riformare (depotenziare) il Senato, ma il popolo gli rispose “no, grazie”.

La causa degli insuccessi di tutti i grandi riformatori è semplice, non ha bisogno di raffinati esegeti. Ogni conato di Grande Riforma fa da lievito alla coalizione di tutti gli oppositori e di tutti i rivali del suo autore. E siccome avversari e critici, anche se divisi tra loro su tutto il resto, sono sempre, da alleati pur momentanei, numericamente più forti del leader che intende cambiare le regole del gioco, anche un bambino comprenderebbe che lanciarsi nella sfida di modificare l’assetto costituzionale di uno stato equivale a mettersi in viaggio di notte su un’auto a fari spenti. Di conseguenza, nei panni dell’attuale presidente del Consiglio toccheremmo ferro prima di avventurarci verso l’obiettivo dell’elezione diretta del capo dello stato. Anzi, rimanderemmo l’operazione a babbo morto, utilizzandola tutt’al più come strumento di marketing elettorale.

Ma non è solo questione di cabala, scaramanzia, tradizione negativa. A suggerire di soprassedere sul presidenzialismo provvede anche un’altra valutazione: la materia dei poteri è così delicata e complicata, che, oggi, neppure un redivivo Montesquieu (1689-1755) riuscirebbe a venirne a capo. Già il sistema americano, che la vulgata più diffusa giudica la quintessenza del presidenzialismo, in realtà, è solo la risultante di un felice bilanciamento di pesi e contrappesi tra poteri. Peraltro, riesce difficile etichettare come presidenzialismo puro un ordinamento che non consegna la Casa Bianca al candidato più votato dall’elettorato dell’Unione, ma al candidato più suffragato dai voti elettorali dei singoli 50 stati. Il che, come si sa, a volte provoca effetti paradossali, vedi la beffa patita da Hillary Clinton, che pur avendo, nel 2016, distanziato Donald Trump di oltre 3 milioni di voti, si vide soffiare la dimora più importante del pianeta dal più discusso tra i magnati in circolazione, baciato dalla combinazione-ripartizione dei delegati espressi dagli stati.

Andiamo avanti. Il presidenzialismo si addice agli stati a bassa temperatura (passionalità) politica, ossia agli stati dove è radicata da tempo la legittimazione reciproca tra gli schieramenti in campo. L’Italia rientra nell’elenco di questi Paesi? Non proprio. I decibel dello scontro politico sono assordanti nella Penisola. Del resto, se persino negli Stati Uniti, il riconoscimento vicendevole tra gli sfidanti al vertice non è più una certezza, figuriamoci cosa accadrebbe in una nazione, come la nostra, dove il modello irriducibile guelfi-ghibellini è così capillare che investe anche il più piccolo condominio abitativo.  Il rischio, per l’Italia, di ritrovarsi in Sudamerica anziché in Nordamerica, qualora sposasse il sistema presidenziale, sarebbe più concreto del panettone sulle tavolate natalizie.

Ma non è finita. L’irruzione di Internet sul palcoscenico della politica si è rivelato così impetuoso da mettere in pericolo, secondo parecchi politologi, la sopravvivenza stessa della democrazia (il cui appeal è in declino nel mondo). Probabilmente queste preoccupazioni sono leggermente esagerate, ma il direttismo e l’eclissi delle istituzioni intermedie non sono né un indizio né una garanzia di buona salute per i sistemi liberali. Molto più rassicurante sarebbe cercare di favorire la stabilità dei governi attraverso correttivi graduali (ad esempio: sfiducia costruttiva, inemendabilità della legge di bilancio e ricorso al voto anticipato in caso di bocciatura, prevalenza effettiva del premier nei confronti dei ministri, rafforzamento dello stato centrale rispetto alle regioni…) all’interno di un ordinamento parlamentare, anziché esplorare l’ignoto esagitando gli animi, scatenando le pulsioni più estreme, alimentando la tentazione del potere per il potere, che poi sarebbe la tentazione dello strapotere: tutti pericoli (più) connaturati all’esperienza presidenzialistica, come dimostra la storia in diversi angoli del globo (la stessa liberaldemocratica Francia avrebbe sudato freddo se avesse prevalso l’estremista Marine Le Pen nell’ultima contesa con Macron).

Ma l’effetto Internet e l’esplosione dei social network che, oltre a concimare una variopinta foresta di populismi, stanno esautorando le istituzioni canoniche previste dalle Costituzioni, non si limitano a modificare il rapporto tra eletti ed elettori. Di fatto stanno cambiando, sul piano della comunicazione e rappresentanza politica, i relativi connotati di domanda e offerta. L’influenza degli influencer (scusate la ridondanza) è sempre più marcata nella vita individuale e collettiva. Di conseguenza l’approdo degli influencer sul proscenio politico è roba da futuro prossimo, non remoto. Così come la regia delle grandi multinazionali del web dietro gli influencer superstar sta nell’ordine delle cose, oltre che nelle previsioni dei più svegli. Non sarà, quella testé abbozzata, un’inquietante prospettiva orwelliana, ma non sarà neppure una rasserenante maturazione montesquieuiana.

Attenzione, perciò, a (non) confezionare questo insidioso pacco regalo (il presidenzialismo): potrebbe trasformarsi in un beneficio esclusivo per chi sta alla politica come la volpe sta al pollaio. Qui è in ballo l’avvenire di tutti.  Buon anno.

Si fa presto a dire presidenzialismo (sarà un cadeau per gli influencer)

Non è solo questione di cabala, scaramanzia, tradizione negativa. A suggerire di soprassedere sul presidenzialismo provvede anche un’altra valutazione: la materia dei poteri è così delicata e complicata, che, oggi, neppure un redivivo Montesquieu (1689-1755) riuscirebbe a venirne a capo

Per le Ong ci vuole un codice di condotta. Il commento di Pennisi

Per un’Italia priva di tradizioni coloniali di rilievo e per oltre un secolo Paese di emigrazione non di immigrazione, il problema è ancora abbastanza nuovo e si tende a trattarlo in modo emotivo più che con analisi. Urge riportare il dibattito sul piano delle analisi e della legalità facendolo uscire da pulsioni effettivamente di parte

Il 2023 tra Ucraina, Mediterraneo e Balcani. Gli scenari di Sessa

“Chi pensava che il governo avrebbe avuto difficoltà a esprimere delle posizioni chiare in politica estera si è si è clamorosamente sbagliato”. La Libia? “Un fatto di politica estera innanzitutto”. Crisi globali? “Queste leadership mondiali non sono in condizione di gestire più di un paio di crisi contemporaneamente”. Conversazione con l’ambasciatore Riccardo Sessa

Parte la task force ransomware sotto guida australiana. Tutti i dettagli

Gli attacchi informatici a scopo di estorsione saranno una minaccia anche nel 2023. L’iniziativa voluta dall’amministrazione statunitense coordinerà “il lavoro congiunto” di 36 Paesi (tra cui l’Italia) attraverso la condivisione di informazioni e attività per resilienza, disruption e contrasto alla finanza illecita

Un legame sempre più forte. La lettera dell'ambasciatrice canadese in Ue

Di Ailish Campbell

Ailish Campbell è ambasciatrice del Canada presso l’Ue dall’agosto 2020. In precedenza, è stata commissario capo per il commercio e viceministro aggiunto per lo sviluppo economico e le finanze aziendali. Ha iniziato la sua carriera nel settore pubblico nel 2002 come negoziatrice del Doha Round del Wto

Meloni e quelle (prime) avvisaglie da destra. Scrive Cangini

Veneziani critica l’approccio prudente della premier. Se Meloni vuole che la destra cambi pelle e continui a riconoscere la sua leadership nella buona come nella cattiva sorte, dovrà trovare il modo e la forza di avviare una massiccia opera di pedagogia politica rivolta sia agli elettori sia agli eletti di Fratelli d’Italia. Il commento di Andrea Cangini

Verso il jet di nuova generazione. Il Gcap secondo la Difesa giapponese

Il piano “unirà” i vantaggi tecnologici accumulati anche da Regno Unito e Italia per convivere rischi e costi, spiega il dipartimento interpellato da Formiche.net. Ecco perché l’intesa è anche politica

La transizione energetica, il carbone e il salto triplo da mettere in conto

Di Carmine Biello

Se vogliamo cercare di sterzare per agganciare una traiettoria che ci riporti almeno in carreggiata, dopo un ultimo anno dettato dal ritorno al carbone, dobbiamo farlo subito e c’è un solo modo per farlo: abbandonare il carbone, prima di tutto con riguardo al mix di generazione elettrica

Kim spara un altro missile per festeggiare il Capodanno

Il leader nordcoreano rilancia sul nucleare: incremento esponenziale dell’arsenale, nuovi missili e un satellite militare da mettere in orbita nel 2023. Non è chiaro quanto questo obiettivi siano raggiungibili, ma il Nord alza il livello della minaccia e testa nuove armi

L'importanza dei processi (da concludere). D'Ambrosio legge il 2023

Se tutto va bene collaboriamo a questa grande storia, con i doni ricevuti, limiti e peccati permettendo. L’autenticità della nostra storia, è bene ricordarlo in tempi di populismi, bufale, infodemia e post verità, è data dal far parte di una storia più grande di noi, ossia quella che Dio scrive con ognuno di noi. Il pensiero di Rocco D’Ambrosio, ordinario di Filosofia Politica all’Università Gregoriana

×

Iscriviti alla newsletter