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Ogni epoca storica ha la sua kermesse. Ogni epoca storica ha la sua antitesi, la sua dualità politica. Il XIX secolo ha visto emergere lo scontro, così bene descritto da Benedetto Croce, tra autorità e libertà. Mentre, dopo il breve interludio del periodo liberale, nel ‘900 la democrazia emergente è stata attaccata da due lati estremi: il nazionalismo e il socialismo.

Al centro dell’antinomia vi è stata comunque e sempre una medesima e opposta idea di società, di realtà, di umanità, la quale si è andata coagulando ovunque, agli inizi del XX secolo, nel rifiuto autoritario del potere popolare in nome della sovranità assoluta del capo o dell’opposta sovranità collettiva dello Stato.

Non è questo il luogo di ripercorrere le tappe filosofiche, e non solo, di questo divenire. Certo è che con la fine del secondo conflitto mondiale si è affermata per tutti, irreversibilmente, l’irrinunciabile idea di democrazia, sebbene, logicamente, sia divenuta essa stessa il centro di una nuova disputa sul suo senso, sul modo in cui s’intenda affermare il popolo come soggetto politico assoluto.

Il conservatorismo ha dovuto procedere, dopo la disfatta del Fascismo, ad una nuova e diversa definizione di democrazia rispetto a quella progressista, una definizione che si è orgogliosamente distinta sia dal sogno del socialismo reale e del comunismo sovietico, sia dalla lettura neutra del liberalismo, anch’esso, tutto sommato, non immune da sue fragilità e contraddizioni.

La morale di questa storia consiste nel capire se sia possibile leggere filosoficamente da destra la centralità della democrazia come valore indiscutibile, da un punto di vista che non sia soltanto quello fatto proprio dalla vincente liberal-socialdemocrazia. Carl Schmitt, Alain de Benoist e Roger Scruton hanno proposto un’interpretazione abbastanza chiara di questa suggestiva possibilità, presentando una visione sistematica della cosiddetta democrazia conservatrice.

È, in effetti, necessario comprendere questa specificità, perché essa condensa l’asse politico valoriale con cui alle elezioni del 2023 il centrodestra potrebbe assumere in Italia il governo della nazione. Da noi, come si sa, la suddetta coalizione ha una lungo trascorso, ed è stata organizzata al centro dalla guida di Silvio Berlusconi, il quale è riuscito negli anni ’90 del passato secolo a portare la destra (Lega e Msi) nell’area democratica.

Si è trattato di una tappa soltanto iniziale e non definitiva di un cammino non ancora concluso, la cui legittimità di allora si espresse non solo grazie al carisma di Berlusconi ma per l’eredità antifascista della Democrazia Cristiana: un partito sicuramente di centro sebbene nettamente alternativo alla sinistra.

Oggi, viceversa, stiamo entrando in una nuova fase, nella quale il rapporto di forza tra la destra e il centro è cambiato, e nel quale il centrodestra potrà coalizzarsi nuovamente, e probabilmente vincere le elezioni e governare, o come democrazia conservatrice o come forza di minoranza. Qual è allora questo nuovo senso che il centrodestra assume ora in Italia?

È possibile rispondere a questa domanda cruciale stabilendo, prima di tutto, cosa significhi parlare di destra nel centrodestra. Ma questa precisa esigenza intellettuale, come si diceva, implica una previa chiarificazione di cosa s’intende per essenza della sovranità popolare. Democrazia può significare, di fatto, due cose molto diverse tra loro. O con tale termine intendiamo riconoscere e valorizzare l’esistenza di un popolo, il quale in quanto comunità specifica abbia la soggettività di esprimere per questo il suo potere collettivo; oppure con tale termine intendiamo un metodo di attuazione e realizzazione di diritti, di libertà, individuali e sociali, sempre più grandi, sempre più attivi, sempre diversi, sulla base dei quali il potere universale dell’umanità vada realizzandosi nelle società a partire dall’azione viva di una certa classe o di un certo partito culturalmente visionario e di avanguardia.

Il centrodestra ha senso se rifiuta la seconda definizione gramsciana di democrazia ed accetta con fermezza la prima. Si tratta cioè di sostenere la democrazia come una politica d’insieme, nella quale il tutto sociale precede e fonda il senso positivo delle molteplici libertà individuali. Dalla valorizzazione di questo tutto sociale esistente, determinato, compatto e omogeneo, che definiamo popolo, non proviene necessariamente un atteggiamento razzista, xenofobo e isolazionista, il quale per altro sarebbe di per sé antidemocratico, ma una configurazione del mondo nella quale alcune costanti fondamentali di tipo peculiare e collettivo, declinate storicamente nel senso proprio di circoscritte ed incancellabili identità nazionali, debbano costituire l’architrave sul quale i valori universali di libertà e di realizzazione complessiva dell’umanità possano raggiungere la propria stabilità, il proprio ordine e il proprio limite possibile.

È chiaro che gli atteggiamenti attuali pro o contro i diritti di cittadinanza, i diritti civili, il multiculturalismo e soprattutto l’Unione Europea non sono altro che effetto di una causa riposta nell’idea di autorità e di libertà che s’intende affermare, utilizzare o rifiutare, secondo i casi, come definizione ultima dell’essenza stessa della democrazia. Il progetto del centrodestra è entrato, da questo punto di vista, in una fase di piena maturazione, la quale non è più a trazione centrista; ed è chiaro che tale alleanza potrà proporsi alle elezioni in modo competitivo solo come un’intera coalizione unita da valori omogenei di tipo conservatore.

È logico, pertanto, che la sfida aperta nel centrodestra sarà quella non solo di mantenere il legame alla propria idealità democratica, ma di esprimerla secondo un parametro comunitario e popolare diverso rispetto a quello di matrice individualista e collettiva del centrosinistra, presente implicitamente e incisa profondamente nella mentalità degli italiani. La democrazia conservatrice, insomma, è la vera anima del centrodestra attuale, ed essa è dotata di un suo universalismo culturale, profondo e consistente, che i diversi partiti della coalizione devono fare emergere come sentire comunitario.

Questa identità non ribadisce, d’altronde, un mero interesse localistico e nazionalista, bensì interpreta una visione complessiva dell’umanità che non può ricondursi alla mera eguaglianza generalizzata ed indifferente degli individui e delle culture, così come è proposta dal centrosinistra, rimandando invece ad una caratterizzazione più specifica, popolare e comunitaria, espressa dalle singole democrazie nazionali.

Se questo paradigma particolaristico saprà trovare un consenso maggioritario in Italia, sicuramente ciò dipenderà dalla capacità del centrodestra di farsi protagonista credibile della consistente e consapevole visione universale propria del tradizionalismo sociale, riuscendo nell’impresa di sostenere intellettualmente, senza populismo e demagogia, ma con coerenza e razionalità la pugnace e radicale alternativa internazionale che la democrazia conservatrice propone alla democrazia progressista.

Pensare, insomma, il valore della democrazia italiana come confluenza di tutte le istanze tradizionali, religiose e culturali dell’identità nazionale potrà essere l’arma popolare vincente del centrodestra, se gli italiani si convinceranno che senza la tutela e il mantenimento di tali eredità tutti gli altri valori di progresso, sbandierati dal centro e dalla sinistra, in primis uguaglianza e libertà, non possano avere consistenza concreta per il bene complessivo della civiltà umana.

La sfida è vasta e articolata: e ci auguriamo che essa possa essere vissuta in modo leale e chiaro dai protagonisti, non limitandosi esclusivamente al chiacchiericcio quotidiano e alla parola vana dell’avanspettacolo, cominciando con evitare che chi non è di centrosinistra sia necessariamente ritenuto antidemocratico e denigrato soltanto perché ha un’idea opposta della democrazia stessa.

Il centrodestra e l'idea della democrazia conservatrice. Scrive Ippolito

La democrazia conservatrice è la vera anima del centrodestra attuale, ed essa è dotata di un suo universalismo culturale, profondo e consistente, che i diversi partiti della coalizione devono fare emergere come sentire comunitario. La riflessione di Benedetto Ippolito

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