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E se invece la soluzione fosse il “Campo Stretto”? Se invece che la corsa affannosa a costruire intese, coalizioni, cartelli elettorali che servono solo ad accaparrare voti e che poi, una volta chiuse le urne, non reggono il peso della governabilità ci fosse da parte delle forze politiche la voglia di presentarsi per quel che si è, in solitaria ma prive di ambiguità e strumentalità? Non è forse questa la storia politica recente dell’Italia, costretta di volta in volta a chiamare al proprio capezzale figure tecniche e friabilissime novità di leadership che poi crollano sotto il peso degli interessi “particulari” o si dimostrano incapaci di guidare il Paese?

Può sembrare una provocazione e certamente per molti versi lo è. Però proviamo a riflettere. La cronaca di questi giorni post scioglimento (che errore far cadere Mario Draghi, vero?) racconta di vertici per mettere a punto candidature da parte di forze politiche che un attimo prima si sono scontrate sulla premiership (giusto, centrodestra?) e che mettono sotto il tappeto del possibile successo elettorale le divaricazioni interne che a un certo punto per la loro corposità da quel tappeto fuoriusciranno ingombrando il perimetro di governo. Oppure di alleanze che si vanno costruendo o disfacendo (vero centrosinistra?) e ballano attorno al totem dell’“andremo da soli” o, al contrario, delle convergenze che mischiano tutto e il loro contrario con effetti fortemente stranianti e che producono confusione invece di chiarire.

Magari si potrebbe cambiare spartito. Magari, recuperando un’identità perduta per sete di potere, strumentalità, sconnessione con l’elettorato di riferimento (la famosa constituency in molti casi fortemente sbiadita) i socialisti potrebbero presentarsi come socialisti, i “sinistri” come vogliono, i liberali come liberali, i sovranisti idem, i “destri” senza connubi ammiccanti, gli amici di Vladimir Putin innalzando in esclusiva le loro bandiere.

Magari sono solo sogni velleitari. Però per gli elettori sarebbe più confortante – e forse rappresenterebbe una calamita fondamentale per riportare alle urne chi se ne è allontanato – se i partiti si proponessero per quello che sono e che vogliono, dichiarando i propri obiettivi e le strade per raggiungerli, mettendo in campo i loro migliori esponenti capaci di competere per il seggio parlamentare a viso aperto, senza compromissioni o mascherine per sembrare altro. Una questione identitaria appunto, che può spaventare i né-né o chi ha fatto dell’ambiguità e della trasversalità il suo simbolo. Ma che, rovesciando la prospettiva, potrebbe chiarire chi chiede i voti e perché, per rappresentare chi.

Certo, l’obiezione è a portata di mano e apparentemente invincibile: è la legge elettorale che costringe agli apparentamenti e alle coalizioni; è il famigerato Rosatellum che induce ad alleanze anche spurie. Ma obbligate per vincere. Giusto. Si era parlato di una possibile revisione del meccanismo di voto in senso proporzionale, naufragato nell’irresponsabilità e nell’avventurismo di aver voluto devastare l’equilibrio governativo a pochi mesi dalla scadenza naturale della legislatura e nel pieno del Pnrr e della guerra in Ucraina. È vero che il sistema elettorale è questo e con questo bisogna fare i conti. Ma è altrettanto vero – come ha spiegato il centrista Maurizio Lupi – che il 60 per cento dei seggi è assegnato con il sistema proporzionale, aggiungendo che è lì che si vince la partita. In realtà non è così, perché i collegi uninominali sono la chiave di volta per stabilire chi vince. Ma sia nel campo proporzionale che in quello uninominale i partiti potrebbero lo stesso avanzare le loro ricette esclusive e chiedere agli italiani il voto. Come pure potrebbero nei collegi uninominali, ognuno per conto suo, avanzare candidature fortemente connotate e riconoscibili capaci di attirare il consenso, e gli elettori potrebbero altresì sentirsi più liberi di votare chi preferiscono, scegliendo la pietanza principale senza il contorno di alleati incongrui.

Un sogno, certo. Tuttavia prima o poi bisognerà avere il coraggio e la lungimiranza di abbandonare minestroni di coalizioni acchiappa tutto. Prima o poi sarà necessario avviare un percorso di governabilità capace di reggere agli squilibri di contenitori politici che diventano arche di Noè senza capo né coda, incapaci di assicurare al Paese la stabilità fondamentale per realizzare le riforme. Un sogno pieno di disperazione. Ma pure il richiamo a un dovere di coerenza e attendibilità che i partiti hanno abbandonato da decenni. E i risultati si vedono.

E se invece la soluzione fosse il “Campo Stretto”? Il mosaico di Fusi

Piuttosto che correre a costruire intese e coalizioni che non reggono il peso della governabilità, non sarebbe meglio che le forze politiche si presentino in solitaria, prive di ambiguità e strumentalità?

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