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Sì, Kherson è libera. Sulla piazza davanti agli edifici amministrativi — fino a quarantott’ore fa teoricamente occupati dai russi — sventolano la bandiera dell’Ucraina e quella dell’Unione europea. Un simbolo enorme, un senso politico profondo alla vicenda orribile della guerra voluta da Vladimir Putin. Una guerra che non è solo lo stupro del diritto internazionale contro la sovranità ucraina — uno di quei principi che hanno permesso ottanta anni di pace e prosperità in Europa. Ma è sempre stata anche un’aggressione contro l’ordine internazionale, quello che ha marchiato la storia novecentesca con l’espansione delle democrazie.

Kherson è un simbolo. Prima e unica regione totalmente controllata dai russi dall’inizio della guerra, è su una posizione strategica, nella fascia costiera appena prima della Crimea (la penisola annessa illegalmente da Putin nel 2014). Ma la vicenda della città racconta anche come il coraggio e le competenze dell’esercito ucraino abbiamo sconfitto la poca preparazione organizzativa (e forse la scarsa determinazione) dell’esercito russo. Kherson racconta anche di quanto sia stato determinante l’aiuto militare compatto fornito dall’Occidente — tutore di quell’ordine internazionale contro cui Putin sfoga la sua ostilità.

La vicenda di Kherson in definitiva restituisce una verità schiacciante: a questa guerra difensiva, per l’Ucraina c’è anche la possibilità di una soluzione militare. E per chi ha vissuto quel coraggio e quella capacità di resistenza di Kiev come un intralcio, a Mosca come altrove, è una realtà asfissiante. Eppure c’è chi interpreta ciò che è avvenuto a Kherson come l’occasione giusta per provare un negoziato. Come dire agli ucraini che vivono nelle altre aree occupate dalla Russia che devono accontentarsi di veder gioire i loro fratelli altrove, perché per loro il destino è quello di rientrare in un calcolo politico che accetta le condizioni di Putin.

Ma siamo sicuri che questa strada sia possibile, che un negoziato abbia un senso, che eviti ulteriori scontri, che ristabilisca un ordine, in definitiva che porti alla Pace? Per Nona Mikhelidze, analista dell’Istituto affari internazionali tra i massimi esperti dell’area ex sovietica in Europa, la risposta a tutte queste domande è “no”. Anzi: “Ammesso che qualcuno a Mosca voglia un negoziato, e non sono per niente convinta che sia così, il rischio è che Putin sfrutti eventuali trattative per mettere in pausa la guerra e poi riprendere i combattimenti una volta che si è riorganizzato”, spiega in una conversazione con Formiche.net.

“Andare a un negoziato — continua — significa preparare la popolazione a questo passaggio, soprattutto in Russia dove per mesi, se non anni, si è fatto il lavaggio del cervello sull’operazione militare speciale, la denazificazione e in qualche modo sulla guerra giusta”. A Mosca non c’è niente di tutto questo. La propaganda del Cremlino continua a suggerire che presto le forze russe torneranno a Kherson e oltre, e che quella attuale è una fase tattica — copione già usato quando le forze armate russe furono costrette a saltare i piani d’attacco a Kiev perché incapaci di andare avanti, o a Kharkiv, da dove si sono ritirate perché come a Kherson non sono state in grado di tenere il fronte controllato.

Dopo il ritiro dalla città meridionale, il deputato russo Andrei Gurulyov insisteva in televisione sul fatto che è inevitabile che le truppe russe raggiungano i confini dell’Ucraina con la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania. “È una questione di tempo!”, diceva. Il portavoce del Cremlino ha dichiarato ieri, venerdì 11 novembre, che la decisione di annettere alcuni territori ucraini è stata saggia, e ha persino sottolineato l’importanza che Kherson (tra quei territori di cui Putin ha proclamato l’annessione) sia parte della Russia — in un cortocircuito pazzesco visto che le sue parole arrivavano mentre la bandiera europea sventolava sulla piazza della città liberata.

Contemporaneamente, il ministero degli Esteri di Mosca incolpa il sostegno militare occidentale di voler prolungare la guerra — una guerra che secondo i russi sarebbe durata poco se gli ucraini avessero subito accettato di arrendersi. “La Russia — aggiunge Mikhelidze — non sembra intenzionata a negoziare, ma piuttosto a far passare l’idea che Kiev e l’Occidente vogliono continuare la guerra, come se si potesse limitare il diritto di autodifesa. Putin vuole basare un eventuale negoziato sul controllo totale di ciò che rivendica di aver conquistato, persino di Kherson da cui i suoi soldati si sono ritirati. Non mi sembrano trattative”. Anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha detto che in realtà Putin sta impedendo qualsiasi forma di “approccio diplomatico”.

Eppure del tema “mediazione” si discute. Anche perché dagli Stati Uniti sono uscite indiscrezioni e ricostruzioni riguardo a potenziali trattative. Sui giornali americani i rumor delineano due posizioni. Da una parte ci sono i moderati dell’amministrazione Biden, che vorrebbero quella che Mikhelidze definisce “escalation management” e in sostanza ritengono che la sconfitta della Russia debba essere gestita in modo graduale per evitare appunto escalation con-e-di Mosca. Dall’altra ci sono posizioni più massimaliste, che credono nella necessità di fornire la massima assistenza all’Ucraina perché questo renderà più rapidi i tempi di una sconfitta russa, minimizzando le perdite ucraine.

“Però — ricorda l’analista — così come fatto con le posizioni di Mosca, atteniamoci ai fatti anche nei confronti di Washington, perché in generale in Italia c’è questa cultura del non ascoltare le dichiarazioni ufficiali, frutto magari di una mancanza di fiducia verso i politici, e stare piuttosto dietro ai rumor. Gli Stati Uniti non sembrano intenzionati per adesso a diminuire il loro appoggio o a chiedere una riduzione di esso agli alleati. Osserviamo la qualità e la quantità di armi spedite: sarà per esempio determinante vedere se gli Stati Uniti nelle prossime settimane decideranno di inviare missili a più lunga gittata per gli Himars”.

Gli Himars supportano diverse munizioni: finora gli ucraini hanno a disposizione quelli a corte gittate, ma non è escluso che arrivino missili a medio raggio. Parliamo di un raggio di poco superiore ai 250 chilometri, con cui, per esempio, l’Ucraina da Kherson potrebbe colpire in profondità e precisione anche in Crimea o molto oltre le linee del fronte del Donbas. Seguire queste forniture è determinante: che Kherson (e prima ancora Kharkiv) potesse cadere è per esempio diventato una realtà materiale da quando agli ucraini sono stati forniti i sistemi lancia-missili Himars, con cui colpire oltre le linee e tagliare i rifornimenti. Questa percezione è cresciuta via via e da settimane è diventato chiaro che le doppie controffensive su Kharkiv e Kherson lanciate dagli ucraini fossero entrambe azioni di successo.

Sono stati gli stessi russi a comprenderlo presto, tant’è che al di là dell’annuncio ufficiale di due giorni fa, il ritiro deve essere iniziato tempo prima — a meno che non si ritenga totalmente credibile la versione del Cremlino secondo cui sia stato possibile spostare più di ventimila uomini e mezzi su chiatte e ponti mobili oltre il fiume Dniepr nel giro di un giorno e mezzo. “Davanti a tutto questo, che senso ha parlare di negoziati?”, si chiede Mikhelidze: “Dobbiamo anche uscire da una certa ricostruzione stanca: i negoziati non saranno condotti da Russia e Stati Uniti, ma starà all’Ucraina decidere come e quando. Certo, i contatti tra Washington e Mosca ci sono: c’erano durante la Guerra Fredda figurarsi se non ci sono adesso, anche solo sul canale nucleare. Ma Kiev avrà voce centrale”.

Rispondendo a una domanda riguardo alla possibilità di trattative, il presidente statunitense, Joe Biden, in questi giorni ha detto: “Tocca agli ucraini. Niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”, ripetendo la linea ufficiale secondo cui qualsiasi risoluzione deve essere determinata da Kiev, non dagli Stati Uniti o dall’Europa. “So una cosa: non diremo loro cosa devono fare”. “Non credo che il conflitto potrà essere risolto finché Putin non avrà lasciato l’Ucraina”, ha aggiunto in un’altra battuta.

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