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Sarebbe utile un’iniziativa del Parlamento italiano per promuovere gli Accordi di Abramo. Lo ha detto Naser M. Y. Al Belooshi, ambasciatore del Bahrain in Italia in occasione del seminario Geopolitica araba 2022 – una regione tra conflitto e normalizzazione”, promosso a Roma dalla Nato Defense College Foundation, in collaborazione con Nato Political Affairs and Security Policy Division e la Fondazione Compagnia di San Paolo.

Un focus centrato sulle prospettive di intervento e delle nuove relazioni sgorgate all’indomani degli accordi Abramo, che hanno apportato un elemento costruttivo all’ambiente regionale, rafforzando le relazioni economiche, culturali e interpersonali. A due anni dal loro inizio, la leva dello sviluppo economico è visibile, mentre altri aspetti potrebbero essere ulteriormente implementati, come la questione palestinese, il ruolo dell’Iran e i riverberi sulle alleanze. Delle loro implicazioni sulla sicurezza e del potenziale di cooperazione pratica in diverse aree, comprese quelle all’interno dei partenariati della Nato, hanno discusso autorevoli relatori.

Le prospettive di Abramo

L’obiettivo del seminario è stato quello di costruire un paradigma nuovo mediante un accordo, ragionato e mediato, fra le parti con la prima conseguenza nei riflessi regionali. Al Belooshi lo ha ribadito toccando il tasto dei benefici “che saranno per tutti quando viene sgominata l’ombra della guerra”. È questo il minimo comune denominatore delle analisi, rafforzato dal fatto che se oggi esiste una comunicazione tra Barhain e Israele è merito di quegli accordi.

“Intendiamo sostenere una soluzione bilaterale fra due stati – ha aggiunto – e con l’aiuto dell’Arabia Saudita posso dire che i paesi arabi puntano in questa direzione con l’obiettivo di tenere lontani i rapporti con il terrorismo”.

Parlare oggi degli accordi di Abramo significa anche rapportarli alla recente intesa tra Israele e Libano sulla delimitazione marittima, che secondo Alon Bar, Ambasciatore di Israele in Italia, portano una grandissima stabilità nella macro regione. “Per la prima volta abbiamo l’occasione di guardare le diversità regionali, siamo oggi un’area caratterizzata da sfide comuni dove, grazie alla cooperazione avviata dagli accordi di Abramo, abbiamo la possibilità di occuparci insieme dei nostri problemi. Barhain, Marocco e Emirati Arabi Uniti per la prima volta ritengono di non boicottare Israele: è tempo di definire i nostri interessi regionali. Tutti gli attori sono importanti, ci mancherebbe, ma noi possiamo adesso stabilire da soli le nostre priorità”.

Quali vantaggi

In primis ci saranno vantaggi anche per i palestinesi, ha sottolineato Bar, certo che “gli incentivi negativi sono pericolosi”. Per cui tutto ciò avvicina Israele ad una cooperazione alternativa, anche in riferimento al dossier dei droni iraniani usati in Ucraina, su cui l’ambasciatore ha osservato che “sono stati usati da diverse organizzazioni, ma fino ad oggi noi su questa questione non siamo stati supportati: si comprenda che la sicurezza di Israele investe anche la sicurezza di tutte le regioni limitrofe”.

Il riferimento è al fatto che il divario del palestinesi “è chiaro a tutti, ma i loro rappresentanti non dicono pubblicamente nulla di ciò che accade nella striscia di Gaza: così è difficile cercare una soluzione”. E su Teheran ha osservato che “non è utile in questo dibattito parlare di cooperazione militare con l’Iran”.

Meno Usa in loco?

Sul punto c’è la sensibilità mostrata da Ebtesam Al-Ketbi, president and founder dell’Emirates Policy Center di Abu Dhabi, secondo cui gli accordi di Abramo rappresentano un qualcosa di nuovo perché sono l’anticamera di un progetto regionale di ampia portata, che farà parte della nuova realtà amministrativa del Medio Oriente, “anche se tale realtà non è giunta alla sua forma definitiva”. Il riferimento è alla percezione dei cosiddetti “ottimisti” degli accordi Abramo, che ritengono fattibile un generale ricambio delle regole del gioco: “Esiste evidentemente un nuovo ambiente in questa area, che però non ha sanato lo stallo tra israeliani e palestinesi – ha spiegato – Senza dubbio gli accordi hanno forgiato nuove alleanze e partenariati, spostando Israele dagli ordini degli Usa e cambiando l’impostazione regionale in virtù di una nuova mappa di relazioni politiche dove non c’è più il comando americano ma, come in un consorzio, collaborano tutti i soggetti presenti”.

In sostanza secondo Al-Ketbi tutti i Paesi interessati possono unirsi in una formula win-win, perché dovranno occuparsi da soli dei conflitti regionali senza attendere l’intervento di altri big players. “Solo così armonizzeremo le politiche dei paesi Nato e non Nato. Abramo è una piattaforma per una collaborazione più efficace e la Nato in questi accordi dovrebbe avere un ruolo”.

I limiti di Abramo

Tutto perfetto o tutto perfettibile? Secondo Mahmoud Karem, Professore alla British University e già Ambasciatore egiziano presso Ue e Nato, “tutti vogliamo la pace senza dubbio, ma come egiziano se devo valutare gli accordi, osservo che certamente sono un simbolo primario di cooperazione, ma che senza la spinta degli Usa non sarebbero stati possibili, in riferimento ai rapporti con gli Emirati Arabi Uniti: Washington ha convito Tel Aviv”.

I critici osservano che è stato solo diluito il problema palestinese, ha proseguito, “creando una posizione imbarazzante per alcuni dei soggetti coinvolti, ma ho personalmente incontrato una delegazione palestinese che sostiene come non siano stati fermati gli attacchi”.

Altro limite riguarda Teheran, settore in cui secondo Karem “i droni rappresentano un problema per tutti i soggetti coinvolti”. E ha avanzato un monito: “I partenariati sono da sostenere perché rappresentano una risposta di metodo ai problemi reali, ma attenzione a non contraddire i trattati della Lega Araba”.

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