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Tra i diversi sistemi d’arma messi in campo in questa strana campagna elettorale, ci sono molti razzi e missili che potrebbero sfondare le già disastrate casse della nostra finanza pubblica, ma c’è anche un missile che recherebbe con sé una sorta di “testata nucleare tattica” sulla quale vale la pena concentrare l’attenzione.

La testata sarebbe quella del non ben chiarito semipresidenzialismo, sul quale, non a caso, anche gli stessi proponenti hanno manifestato una generica disponibilità a riflettere in qualche forma di sede istituzionale, ad esempio, in una Commissione bicamerale.

Credo di poter rilevare che, rispetto ai tanti problemi in essere sul terreno istituzionale italiano, non è con una proposta pur a forte impatto e che non appare per la prima volta nello scenario istituzionale ipotetico italiano che si può affrontare la questione. Fra gli altri aspetti, va poi rilevato che la sede più propria per affrontare una questione di tale portata non mi sembra quella di un Parlamento eletto con un sistema misto proporzionale e maggioritario.

Certamente, vi sono aspetti significativi della seconda parte della Costituzione che meritano una revisione, tanto più, ma non solo, alla luce della riduzione del numero dei parlamentari. Il terreno istituzionale italiano è irto, infatti, di buche e ostacoli quali quella di un sano funzionamento del rapporto tra Governo e Parlamento, della pendenza eccessiva della bilancia dell’equilibrio istituzionale dalla parte del Governo, dell’eccesso della proliferazione di decreti legge, una riconsiderazione del bicameralismo paritario e perfetto e dell’esame monocamerale monco dei decreti-legge e varie altre. Tutte questioni che incidono direttamente o indirettamente sull’effettiva forma di Governo, e che vanno valutate alla luce del permanere e dell’esigenza di miglioramento di un sistema funzionale di pesi e contrappesi.

In questo quadro, vale la pena ricordare che, ad esempio, alcuni mesi fa il deputato Simone Baldelli, già vicepresidente della Camera, aveva presentato una proposta che più mi sembra rientrare nella fisiologia costituzionale. Quella dell’elezione di una “Convenzione costituzionale”, su basi rigorosamente proporzionali, fatta di 150 componenti eletti dai cittadini e ad elevata competenza in queste materie, evidentemente considerata la finalità del loro lavoro.

La proposta mi sembra che andrebbe però corretta in due punti: il termine del triennio affidato per i lavori mi sembra eccessivo, perché possono anche bastare non più di 18 mesi e si prevede poi che le due Camere debbano approvare – ognuna con voto unico – la proposta complessiva relativa alla seconda parte della Costituzione che emerga da tale Convenzione costituzionale. A me era capitato a suo tempo, insieme al prof. Guglielmo Negri, che aveva la delega ai rapporti col Parlamento nel 1995/96, di stendere una proposta analoga che prevedeva però il ricorso ad una “Assemblea per la revisione costituzionale” alla quale erano affidati poteri redigenti.

Ciò significa che spetterebbe poi alle due Camere approvare articolo per articolo senza possibilità di emendamenti, i singoli articoli della proposta emersa dai lavori. Credo che per questa via per un verso i cittadini, con voto proporzionale avrebbero il potere di inviare alla nuova sede costituente personalità qualificate e la finalità del lavoro è tale che può emergere una composizione del voto diversa da quella che emerge nel caso di elezioni politiche.

Se poi la maggioranza dei componenti di questa Convenzione o Assemblea per la revisione costituzionale ritenessero di optare per il semi presidenzialismo credo proprio che la proposta sarebbe corredata dai relativi contrappesi e dalle indicazioni collegate, anche quanto al sistema elettorale. Mi sembra che fermarsi un attimo a concentrare l’attenzione sul significato e sul ruolo di una proposta di questo tipo possa favorire una più attenta ed equilibrata considerazione dei problemi della forma di governo, compresa l’ipotesi del semipresidenzialismo.

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