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Non poteva mancare lo sciopero del fine settimana. Come da tradizione i lavoratori del trasporto pubblico si sono fermati di venerdì. Sulle buone ragioni della protesta non entro nel merito, a livello nazionale. A livello locale continuiamo a subire l’anomalia italiana che si affida testardamente a società pubbliche (per lo più dissestate, come l’Atac di Roma) per erogare un servizio che i cittadini presto non sapranno distinguere dai giorni di sciopero.

Le interruzioni del servizio sono tante e tali che tutto sommato una giornata di sciopero (di 4 o di 8 ore) non è poi così diversa dalle altre. Lo sciopero potrebbe diventare una forma di mitridatismo, un modo per assuefarsi al disservizio.

Roma non è il centro del mondo, ma è la capitale d’Italia. Quello che accade tra il Colosseo e il Cupolone non è la sintesi della vita nazionale, ma ne offre una buona rappresentazione. Con numeri moltiplicati. Ogni giorno a Roma arrivano più o meno un milione e mezzo di viaggiatori. È come se l’intera popolazione dei residenti a Milano (più quelli di Monza) si trasferisse contemporaneamente nella Capitale. Uno sbarco in massa la mattina, che la sera si tramuta in un esodo con le stesse proporzioni bibliche.

Pendolari. Cittadini che hanno bisogno di un servizio adeguato alla necessità dei loro spostamenti. Cittadini che dovrebbero essere incentivati all’uso dei mezzi pubblici, per mille ragioni, energetiche, ecologiche, sociali. Cittadini ai quali è sottratta l’opportunità della concorrenza, perché sono condannati a essere “serviti” dai peggiori gestori.

La parola “gara” – tanto raccomandata nella vita delle amministrazioni pubbliche, per assicurare trasparenza, per evitare la corruzione; magari si potrebbe ricordare ogni tanto che “gara” vuol dire anche selezionare le migliori offerte per gli utenti – non entra nel vocabolario del Trasporto pubblico locale (Tpl). Una riserva indiana che piace tanto alla sinistra, tanto quanto la destra si oppone alle gare per le concessioni balneari. Tutto si fa pur di non avere concorrenza.

I pendolari romani da anni subiscono le angherie dell’Atac, dentro la città e fuori dei confini del Comune. Questa estate, quando Atac ha deciso di “liberarsi” della gestione delle ferrovie Roma-Lido e Roma-Viterbo, qualcuno si era illuso. Finalmente una gara. Finalmente la concorrenza. Finalmente le liberalizzazioni. Macché. Le ferrovie cambiano gestione. Da pubblico a pubblico. Cotral (la Compagnia di trasporti laziali spa, interamente controllata della Regione Lazio) ha preso il posto di Atac. Dalla municipalizzata alla regionale.

L’unico effetto visibile del cambiamento è stato il cambio di nome della Roma-Ostia Lido, diventata Metromare. Il servizio è rimasto lo stesso. Scandaloso. Forse è persino peggiorato. Una continua cancellazione di corse, riprogrammazione dei servizi e ritardi in partenza (sino a più di 30 minuti, non una bazzecola per un pendolare). Alle note ragioni del disservizio (mezzi vecchi, guasti ripetuti, linea mal controllata) si è aggiunta la protesta del personale ex-Atac, ora Cotral.

Con l’obiettivo di aumentare il livello di produttività dei lavoratori, all’interno del perimetro degli accordi sindacali già sottoscritti dal precedente gestore (secondo il comunicato Cotral), l’azienda, a due mesi dall’ingresso nella gestione della ferrovia regionale, aveva programmato una nuova turnazione che, con decorrenza 5 settembre, prevedeva un aumento medio di 50 minuti del tempo quotidiano di lavoro effettivo alla guida dei treni, limitando i tempi della pausa caffè.

Di tutta risposta, il personale viaggiante ha cominciato di fatto a disertare il servizio – attuando una sorta di sciopero bianco – che ha portato solo il 5 settembre ad una cancellazione di oltre il 70% delle corse programmate sul nuovo orario invernale entrato in vigore. Nelle giornate dal 6 a tutto il 12 settembre le corse cancellate hanno continuato ad essere oltre il 40% del programmato fino a raggiungere un massimo di oltre 100 corse cancellate.

Sciopero bianco che somiglia tanto a uno sciopero tout court, come quello di venerdì. È giusto abituarsi al peggio. Mitridatismo, appunto. Per una pausa caffè ridotta si può fare di tutto. Anche non pensare al servizio che si svolge. Si può solo sperare che la parola “concorrenza” ritorni nel vocabolario della politica italiana e nell’uso quotidiano di chi è chiamato a erogare servizi pubblici essenziali.

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