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All’amministrazione Biden non sembrerebbe bastare il limite alle esportazioni in Cina sui microchip imposto alle proprie aziende solo un paio di settimane fa. Vuole di più e così, dal mese prossimo, prevede di ampliare le restrizioni dei semiconduttori, utilizzati da Pechino per i propri strumenti di Intelligenza Artificiale, alcuni dei quali rappresenterebbero un ostacolo alla democrazia. Dopo Nvidia e Advanced Micro Devices (AMD), dalla Casa Bianca sono state spedite tre lettere, indirizzate alla KLA Corp, alla Lam Research Corp e alla Applied Materials Inc. A tutte e tre, come riferisce la Reuters in una sua esclusiva, è stato imposto il divieto di esportare apparecchiature che servono per la produzione di chip, con processori inferiori a 14 nanometri.

Se vorranno continuare a vendere in Cina, dovranno prima ottenere le licenze del Dipartimento del Commercio Usa. Uno dei portavoce, senza rilasciare troppi commenti a riguardo, ha spiegato come gli Stati Uniti stiano adottando un approccio globale per implementare azioni aggiuntive, così da proteggere la sicurezza nazionale e gli interessi della politica estera. Parole che lasciano intendere come l’obiettivo finale sia quello di arrivare a una legge che regoli le limitazioni, così che ci sia imparzialità tra tutte le aziende del settore, anche a quelle che utilizzano i chip finiti nella black list per i loro dispositivi. Tra le prime c’è ad esempio Intel, che sta osservando la situazione con particolare interesse.

Venerdì scorso, il presidente statunitense ha fatto visita in Ohio per l’inaugurazione di un impianto di semiconduttori dell’azienda. “Il futuro dell’industria dei chip sarà realizzato in America”, ha affermato Biden annunciando come “il Midwest industriale è tornato”. Parole da campagna elettorale, in quello che è Stato storicamente repubblicano che all’ultima elezione gli ha preferito Donald Trump. Ma anche parole che esprimono le volontà dell’inquilino della Casa Bianca, quale rendere gli Stati Uniti autonomi e indipendenti sulla produzione dei chip e, allo stesso tempo, non aiutare la Cina nei suoi intenti.

“La strategia è quella di soffocarla e hanno scoperto che i chip sono un punto di strozzatura”, ha dichiarato un analista del Center for Strategic and International Studies. Questo perché da soli “non possono produrre questa roba, non possono produrre le apparecchiature di produzione”. Insomma, l’America avrebbe trovato il punto nevralgico per mettere in difficoltà la Cina. E spinge per renderlo ancora più scoperto, chiamando a raccolta gli alleati. Coinvolgere anche l’Europa, ad esempio, vorrebbe dire avere regolamenti più solidi, che si possono replicare in più parti del mondo, e aumentare le difficoltà cinesi nel reperire questa tipologia di materiali.

Il problema può essere tuttavia interno. Molte aziende statunitensi hanno fatto affari d’oro grazie alle vendite dei microchip in Cina, mentre ora affronterebbero perdite non banali. Nvidia ne ha calcolate fino a 400 milioni di dollari, qualora il governo non rilasci le licenze in tempi relativamente brevi o se le negherà ai maggiori clienti dell’azienda. Il governo statunitense sarebbe stato già messo in allerta su questi possibili scenari dalla Camera di Commercio che, settimana scorsa, si è riunita proprio per affrontare il tema. “Adesso”, hanno fatto sapere, “stiamo sentendo che le aziende di apparecchiature e di progettazione di chip dovrebbero aspettarsi una serie di regole o forse una regola generale prima delle elezioni di Midterm”, per trasformare le lettere in legge.

La questione ha pertanto assunto un carattere internazionale quanto nazionale. Da una parte, Washington intende minare la catena di approvvigionamento della Cina, cercando di recuperare quanto più terreno possibile a Pechino, in vantaggio nella competizione tecnologica. Dall’altra, per riuscirci Biden punta tutto sulla promessa di un’America di nuovo leader digitale, che dovrà mantenere dopo il voto di novembre.

Choc & Chip. Mannaia di Biden sulla tecnologia cinese

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