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Il viceministro dell’Interno moldavo, Sergiu Diaconu, ha raccontato al New York Times che i recenti attacchi avvenuti in Transnistria sono stati compiuti contro edifici del governo locale non utilizzati, mentre al loro interno non c’era nessuno, e con un tipo di granate che sono a disposizione dell’esercito russo, delle forze transnistre e dell’esercito del Gabon. “Non credo ci sia dietro il Gabon”, ha detto per bagnare con sarcasmo quella che è una evoluzione da seguire dell’invasione russa dell’Ucraina.

La Transnistria è una regione della Moldavia, spalmata lungo 400 chilometri di confine ucraino, sede di forze politico-militari separatiste che nel 1992 hanno dichiarato l’indipendenza. De iure non è riconosciuta internazionalmente nemmeno dalla Russia, ma le unità di Mosca si trovano attualmente sul posto con una missione di peacekeeping che ha il sapore di un’occupazione informale — dopo aver aiutato la battaglia per l’autonomia contro Cisinau. Non è impossibile pensare che si muova qualcosa come successo per Donetsk e Luhansk. Nelle scorse settimane, in alcune dichiarazioni pubbliche gli ufficiali del Cremlino hanno parlato della Transnistria con lo stesso schema narrativo usato per il Donbas, e hanno fatto particolare riferimento alla parte di ucraina confinante: la regione storica del Budjak, dove i russofoni sarebbero “oppressi”, dice il Cremlino.

La regione di Budjak, nota anche come Bessarabia Storica, è la parte dell’Ucraina che chiude alla Moldavia l’affaccio costiero al Mar Nero e si prolunga fino alla Romania. “È un altro punto caldo che stiamo tenendo d’occhio”, dice in forma confidenziale un analista che sta fornendo valutazioni ai Paesi europei, “perché non siamo sicuri di cosa succederà”. Secondo le ricostruzioni più credibili, gli attacchi recenti sono frutto di una false flag inscenata dalle forze separatiste locali. La ragione è creare un pretesto per permettere alla Russia di allargare la propria offensiva a ovest. L’obiettivo sarebbe quello di collegare la Transnistria alla Crimea — la penisola dell’Ucraina sul Mar Nero occupata dai russi nel 2014 — conquistando le regioni del sud del Paese e quelle confinanti con il territorio separatista moldavo.

Si tratta di un piano certamente possibile, sebbene complicato. Durante una conferenza stampa, martedì 26 aprile, la presidente moldava, Maia Sandu, filoeuropeista ed eletta nel 2020 contro i filorussi interni, ha citato esplicitamente la possibilità che il suo Paese sia tra i prossimi obiettivi russi, aggiungendo che la Moldavia prenderà tutte le misure possibili per evitare una escalation. Sandu è consapevole che il suo Paese ha più di una vulnerabilità davanti alle istanze russe, per non parlare della Transnistria che sia per simboli (la Falce e Martello nella bandiera) che per approccio politico-culturale sembra parte addirittura dell’Unione Sovietica.

La Russia mantiene circa 1500-2000 truppe come “forze di pace” nel conflitto congelato nel 1992. Ma Mosca provvede anche a finanziamenti statali usati come sovvenzioni (sulle pensioni per esempio), che spesso sono utilizzati dai filorussi per spingere sulla bontà del vivere sotto l’ala protettrice russa — anziché in modo vergente verso l’Europa e in generale l’Occidente. Questo schema propagandistico è ultra noto — segue andamenti visti nel Donbas come in Abkhazia e Ossezia, ma anche altrove dove la Russia porta avanti il proprio modello di influenza contro quello dominante occidentale.

Mosca ha cercato di destabilizzare il Budjak qualche anno fa, quando il cosiddetto Consiglio Nazionale di Bessarabia chiedeva l’indipendenza. L’area è collegata al resto dell’Ucraina solo da una strada a scorrimento veloce. Due giorni fa, un attacco missilistico russo ha colpito un ponte di collegamento strategico sulla delta del Dniester (quella foce è anche il modo con cui la Transnistria tocca il Mar Nero).

Confinante con il Budjak c’è anche la regione autonoma moldava della Gagauzia, altro punto caldissimo se dovesse allargarsi il conflitto. Questa regione etnicamente turca, ma cristiana ortodossa e russofona, ha stretti legami con Mosca ed è filorussa. Questi punti di frizione sono tutti da inquadrare nel teatro dello scontro per l’Oblast di Odessa. L’area è dominata dalla città portuale che ne è capoluogo, Odessa, e ha un importante valore strategico. Una sua conquista da parte della Russia si unirebbe ai successi sanguinari acquisiti nel Mar d’Azov (l’angolo nord-orientale  del Mar Nero dove si trova Mariupol, tristemente nota alla cronaca attuali per le distruzioni prodotte dai russi), e con la Crimea.

Negli ultimi giorni alcune delle navi da guerra russe sono state apparentemente avvistate al largo della costa ucraina occidentale. La Russia potrebbe lanciare un’operazione anfibia limitata a Budjak per collegarsi con le sue forze in Transnistria, e allo stesso tempo potrebbe anche provocare una destabilizzazione in Gagauzia? “Non credo che possiamo escluderlo”, spiega quella stessa fonte citata, e questo “aprirebbe essenzialmente un altro fronte in una regione dell’Ucraina che è geograficamente isolata dal resto del paese”. Così le forze ucraine dovrebbero deviare le risorse dal Donbas o dalle difese intorno a Odessa per combattere a Budjak.

L’aspetto che rende il tutto più critico è che quest’area in cui potrebbero svolgersi potenziali combattimenti confina con la Romania, ossia con un membro Nato. Il dominio russo del Budjak, in aggiunta alla presenza militare russa in Transnistria, metterebbe Mosca in controllo di un tratto considerevole del confine occidentale dell’Ucraina, creando pressioni dirette su Odessa (divisa da Tiraspol, la capitale transnistra da un centinaio chilometri di autostrada) e indirette su Bucarest.

Perché la Transnistria e il Budjak potrebbero essere i prossimi fronti di guerra

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