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Presidenzialismo in salsa italica: ne vogliamo parlare? Mentre Matteo Salvini e Silvio Berlusconi si assiepano sotto le tende di FdI per firmare la proposta di Giorgia Meloni – ignorando, chissà quanto consapevolmente, che quella sirena canta inascoltata da una trentina d’anni: e un motivo ci sarà – arriva la ricerca commissionata a Sociometrica e a Format Research da LibertàEuguale, associazione-pensatoio presieduta dal Pd Enrico Morando, in base alla quale risulta che l’82 per cento degli italiani vuole che il Paese resti in mano a SuperMario Draghi: o lasciandolo a Palazzo Chigi (70 per cento) o promuovendolo al Quirinale (12 per cento). Praticamente un plebiscito dal quale, a rigor di logica, si dovrebbe evincere che una sola cosa i partiti non possono fare, e cioè determinare le condizioni per cui a metà del prossimo anno l’Italia si ritrovi con Draghi spedito nel baule dei ricordi.

In verità, sempre stando alla ricerca, se la strada fosse quella della continuità dell’azione governo il tappeto rosso sul quale SuperMario dovrebbe incedere dovrebbe allungarsi anche alla prossima legislatura. Quanto si tratti di un whisful thinking o, più brutalmente, un pio desiderio è, allo stato delle cose, facilmente intuibile.

Però il problema resta. Se il presidente del Consiglio in circa un anno è riuscito a dimostrare la sua indispensabilità e, ciò che più conta, a vederla certificata dai cittadini, le forze politiche che si dichiarano presidenzialiste dovrebbero impegnarsi per rispondere a questa sollecitazione popolare, schierandosi compatte per eleggerlo al Colle magari già alla prima tornata. Com’è evidente, non è questo lo scenario. Berlusconi corre per sé come ha sempre fatto, un po’ per celia e un po’ per non morire. Salvini  SuperMario presidente lo vorrebbe, ma non vuole restare col cerino in mano e sonda a destra e a manca. Meloni non sa se Draghi è un patriota, qualunque cosa significhi, e comunque lo vota se però poi immediatamente insediato scioglie le Camere che lo hanno appena eletto. Il ministro leghista Giorgetti qualche settimana fa aveva detto che pure dal Quirinale lo – a quel punto – ex premier avrebbe comunque potuto continuare a guidare il convoglio (sottinteso) governativo. Apriti cielo. Un profluvio di accuse di attentato alla Costituzione che non prevede il doppio ruolo (ma va?) arrivate soprattutto da sinistra.

Bene. Ma allora che si fa, come la mettiamo col plebiscito? Un’alzata di spalle tanto ce la giochiamo noi frequentatori del Palazzo e gli italiani ci lascino lavorare? Opzione sicuramente possibile e tuttavia insidiosa. L’elettorato ha già in molte occasioni mostrato segni di stanchezza e sfiducia nei confronti di chi dovrebbe istituzionalmente rappresentarli: le cifre dell’astensionismo alle ultime amministrative – che peraltro hanno azzoppato soprattutto il centrodestra – lasciano sbigottiti. E poi c’è dell’altro. Sempre scorrendo la ricerca, che naturalmente non è Vangelo ma offre una indicazione che altri studi sulla popolarità di Draghi non possono o potrebbero smentire, risulta che l’adesione degli elettori alle indicazioni dei partiti di riferimento, laddove si discostino dal sentiment di ciascuno e magari siano in controtendenza rispetto all’input delle autorità di governo, si affievolisce fino a scomparire. Vale per tutti il caso del Green Pass: un pezzo tutt’altro che indifferente e in certi casi addirittura maggioritario dei partiti che hanno mostrato perplessità o addirittura contrarietà, ha preferito seguire i precetti dell’esecutivo e dei virologi vaccinandosi in massa piuttosto che schierarsi con la protesta alla fine nullista e venata di paranoia complottista dei No Vax ovunque annidati: addirittura in frange del sindacato.

Va a finire che la gente è molto più presidenzialista dei leader che intendono impugnare quella bandiera e farsene vanto. Vedremo. Magari alla fine Draghi al Quirinale riesce ad arrivarci, determinando una sintonia forte con quell’80 per cento e più di patrioti che lo apprezzano perché va per la sua strada senza lasciarsi condizionare da nessuno. Oppure resterà a palazzo Chigi, chissà quanto blindato a parole e impallinato nei fatti. Il presidenzialismo? Beh, surrettiziamente già c’è. Ma negli emicicli gode di scarso appeal. È una fortuna. O no?

Lavori

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