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Mariupol, decimo girone dell’inferno. Un inferno vero, disumano, che gronda sangue e disperazione, aggiunto dalla storia degli orrori più efferati dell’umanità ai nove originari gironi dell’inferno dantesco.

Trasformata nella Stalingrado della resistenza ucraina, Mariupol è per i russi una spina nel fianco della battaglia per il Dombass appena iniziata e che sta impegnando gran parte delle nuove divisioni mobilitate da Mosca e lanciate sul fronte meridionale dell’invasione dell’Ucraina.

Dietro ogni finestra dei palazzi distrutti di quella che era la capitale siderurgica sul Mare d’Azov, si annida uno sniper, un cecchino, in grado di fulminare da solo, prima di essere individuato, decime di soldati russi, ceceni e mediorientali sguinzagliati fra le rovine fumanti. Uno stillicidio di vittime che può annientare interi reparti delle truppe d’invasione.

I cecchini si nascondono nei bunker sotterranei e ricevono via satellite, dall’intelligence di Kiev e occidentale, le coordinate dell’accerchiamento in corso e le vie di fuga.

Per evitare il rischio di essere inchiodati per mesi proprio come a Stalingrado, lo stato maggiore russo ha deciso di impiegare le micidiali bombe FAB-3000 sganciate dai bombardieri Tupolev TU. Si stratta degli ordigni antibunker, copie in scala ridotta delle super bombe Gbu-43 americane da 11 tonnellate di esplosivo, usate per la prima volta nel 2017 in Afhganistan nel distretto di Achin, provincia di Nangarhar, per sventrare i tunnel dell’Isis.

Il Cremlino spera così di distruggere in tempi rapidi i rifugi sotterranei del grande impianto dell’acciaieria Azovstal dove sono ancora asserragliati fino a 2.500 soldati ucraini e circa 400 mercenari stranieri.

Per coordinare gli aiuti e l’invio di armamenti all’Ucraina impegnata a contrastare la massiccia offensiva russa su tutte le regioni meridionali del Paese, da Odessa al Dombass, il presidente Usa, Joe Biden, in una videoconferenza ha fatto il punto della situazione e fornito ulteriori dettagli d’intelligence collegandosi con il premier britannico Boris Johnson, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier Mario Draghi, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il segretario della Nato Jens Stoltenberg e i vertici istituzionali di Canada, Giappone, Romania e Polonia.

L’occidente è impegnato come non mai a sostenere la resistenza dell’Ucraina e a isolare economicamente e finanziariamente la Russia di Putin, che sta ignorando anche tutti gli appelli di tregua umanitaria.

L’ultimo dei quali riguarda la richiesta avanzata dal segretario delle nazioni Unite, Guterres, che ha chiesto 4 giorni di tregua per la Pasqua ortodossa che si celebra il prossimo fine settimana. La pace comincia con un sorriso, sosteneva Madre Teresa di Calcutta. Ma da quasi 60 giorni a Mosca non sorride più nessuno.

L’inferno si è fermato a Mariupol. La riflessione di D'Anna

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