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Diverse analisi, specie negli ultimi giorni, spiegano come ci possano esser stati calcoli sbagliati da parte della Russia nella guerra in Ucraina.

Ci sono elementi ulteriori della vicenda su cui soffermarsi. Due più di tutte, credo, siano le questioni principali che legano politica e diritto.

La prima implica capire se, nel periodo antecedente rispetto all’ingresso dei carri armati russi nel Donbass, si fosse potuta chiudere la questione con un negoziato che rispettasse le parti; la seconda, invece, ci indirizza sull’immaginare come sullo scacchiere ci sia da valutare l’ipotesi del bluff o meno per giungere al risultato politico massimo.

Sul primo binario penso sia attendibile venire a una risposta-soluzione positiva.

Sì, si poteva considerare il separatismo dei popoli nel Donbass come un concreto allarme per la stabilità sul confine sia ucraino che russo.

Ciò per due motivi almeno: l’Ucraina, non risolvendo la questione di confine, è come se avesse manifestato un deficit (se non una carenza tecnica) di sovranità concreta rispetto alle spinte autonomiste. Il ché significando come si dovesse, a monte, diversificare l’approccio dello Stato centrale considerate le inclinazioni delle terre di confine in riferimento. È un po’ come quel che avviene, d’altronde, in quasi tutti gli Stati basati sul riconoscimento del localismo e/o regionalismo (ad esempio in Italia con l’Alto Adige).

La Costituzione ucraina all’art. 7 enuncia il principio (si prenda come riferimento la versione inglese ufficiale) per cui “Local self-government shall be recognised and guaranteed in Ukraine” ovvero intendendosi, salvo errori, che l’autogoverno locale deve essere riconosciuto e garantito. Questo è sufficiente a legittimare le spinte separatiste in uno Stato sovrano? Si riprenda il concetto sopra riportato: uno Stato è sovrano fino a ché dimostri di esercitarlo con fare “ascendente” sui cittadini. È un principio socio-politico.

La Russia, dal canto proprio, dinanzi alle istanze separatiste e di manifestata volontà di aggregazione e/o di adesione alla “Federazione” (non quindi di annessione dato il riconoscimento delle Repubbliche in Donbass seppure si potrebbe ipotizzare una operazione mascherata, ma qui entreremmo in un ambito di analisi metapolitico o fantapolitico), non poteva mostrarsi debole rispetto al ritorno in pancia di chi, secondo il Putin pensiero, fosse figlio storico-culturale della stessa madre.

Allora, in merito a questo primo binario di analisi e facendo un passaggio finale sempre sulla struttura della Carta fondamentale ucraina, si può prendere in considerazione l’articolo 5 della Costituzione del Paese sotto bombardamento; è il principio di sovranità (quasi a manifestazione invertita).

Tale articolo 5 si esprime così Ukraine shall be a republic. The people shall be the bearer of sovereignty and the sole source of power in Ukraine. The people shall exercise power directly and through the government authorities and local government”. Una fraseologia costituzionale che ci porta a comprendere come in Ucraina il popolo è sì portatore di sovranità, ma lo esercita attraverso le autorità governative e il “governo locale”. Cosicché la spinta autonomista, potrebbe presumersi, si alimenta proprio coltivando lo spazio “irrequieto” che c’è tra governo centrale e governi locali.

E passiamo al secondo punto.

Sul secondo binario, invece, lo stato dell’arte ci pone davanti ad una evidenza: la Russia ha un peso (militare, energetico, ecc.) nettamente diverso rispetto all’Ucraina. Anche se questo si sapeva da molto prima dell’avanzata militare russa verso Kiev. Traduzione plastica di come sia difficile decifrare chi sta, eventualmente, bluffando verso chi e con cosa. Un fatto però è certo. La resistenza ucraina sta mostrando tenacia. Sì, ma fino a quando?

E allora, se vogliamo la pace, diciamo con oggettività che l’eroica resistenza ha un’unica chance di salvezza che non può venire dalla guerriglia in quanto tale, ma:

  • O dalla mobilitazione rivoluzionaria dei popoli russi (sempre se questa è una soluzione, a rovescio di medaglia, utile per le sorti della terra degli Zar date le condizioni politico-economiche attuali del Paese putiniano);
  • O dalla soluzione della neutralità ucraina legittimando Crimea e Repubbliche in Donbass per come teorizzate pre-guerra (e questo significherebbe dare ragione al disegno strategico iniziale di Putin sconvolgendo, di fatto, gli equilibri tattici e geopolitici su scala allargata).

Nel frattempo, senza questo mutamento radicale (come ricorda Norberto Bobbio) o evoluzione delle cose nel segno della pace, Putin sa bene che alcun Paese Nato può minimamente mettere un piede in Ucraina se non si vuole, dalla parte occidentale, assistere all’annunziata reazione più grave: quella atomica. Sì ma, anche qui, fino a quando?

Ed ancora, delle due l’una: o la soluzione nucleare è in realtà un mero deterrente di annessione (ripetibile su altri fronti in futuro da parte russa) oppure, se seriamente valutata da Putin, sta a rappresentare un punto senza ritorno dove questa Russia (che non significa tutto il popolo russo) andrà avanti senza giunger mai ad accordi.

Uno scenario, così facendo, che ci pone davanti ad uno specchio che ci dovrebbe far pensare, seriamente, se a furia di probabili bluff geopolitici non si sia arrivati alla fine della storia del mondo; viceversa potrebbe pensarsi che l’annunziata fine del mondo (con la soluzione atomica) non sia per davvero il bluff di questa partita drammatica e disumana.

Calcoli a parte, quel che rimane sullo scacchiere è che nessuno sembra poter difendere concretamente gli ucraini. Se non le Madri russe. Con il coraggio che la storia impone.

 

 

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