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Molti commentatori hanno affermato che il Capo di Stato Maggiore Generale russo, gen. Valery Gerasimov, stia applicando, nella guerra in Ucraina, i principi strategici e tattici della “dottrina militare” per la quale è divenuto famoso in Occidente: quella della “guerra ibrida”. Essa è una guerra non lineare, che prevede la stretta integrazione fra gli strumenti militari e quelli non militari, fra le forze regolari e quelle irregolari, come le compagnie militari private del tipo Gruppo Wagner, utilizzato da Mosca in Siria, in Libia, in Crimea e oggi nel Mali. Nella strategia e tattica della guerra ibrida si attribuisce inoltre ampia importanza alla guerra psicologica e a quella delle informazioni.

In Ucraina, i russi sembrano attribuire un’importanza solo marginale, se non nulla, a tali componenti soft della potenza militare, rispetto a quelli hard, dalle bombe ai carri armati. La minoranza di ucraini russofoni è meno russofila di quanto il Cremlino pensasse. Non ha costituito una “quinta colonna”, i sabotaggi sono minimi.

I tentativi di assassinare Volodymyr Zelensky sono falliti in fase di pianificazione. La guerra delle informazioni è stata vinta nettamente dagli ucraini. Le loro Forze armate e le milizie territoriali combattono accanitamente. Nelle città occupate dai russi, come Kherson, donne, vecchi e bambini si radunano nelle piazze per dimostrare contro gli invasori. I giovani soldati russi li guardano a bocca aperta. Sono sbalorditi. Pensavano di essere accolti come liberatori.

A peggiorare l’immagine dei russi sono stati da un lato l’annuncio dell’invio di ausiliari ceceni filorussi, affamati di donne e di saccheggi, e dall’altro lato la violazione delle tregue temporanee per la protezione dei corridoi umanitari. I primi avevano anche il compito di eliminare Zelensky e altre personalità ucraine.

Hanno subito gravi perdite sia a Nord di Kiev che nella provincia di Mariupol. Un loro battaglione di forze speciali, centrato in quest’ultima da drones che gli ucraini hanno comprato dalla Turchia, ha subito grosse perdite. È ripiegato in Crimea a riordinarsi. Al-Jazeera ha detto che gli ucraini, quando devono fronteggiare i ceceni, che sono musulmani, spalmano le loro pallottole con grasso di maiale. Vedremo se qualcuno dei “benpensanti” nostrani protesterà per la violazione dei diritti dei ceceni, e qualche animalista per la sorte degli innocenti maiali!  L’effetto terrore che con il loro impiego in Ucraina si ripromettevano i russi ha comunque fatto flop.

Non capisco il motivo per il quale i russi abbiano violato gli accordi sui corridoi umanitari.  L’aumento delle sofferenze e del terrore nella popolazione non mi sembra compensato dal mancato svuotamento dei civili dalle città, che consente di attaccare senza impacci i combattenti rimasti in esse.

Tali interrogativi sulla strategia e la tattica adottate dai russi mi hanno incuriosito, per cui sono andato a riconsultare due degli scritti del gen. Gerasimov, ritenuti più significativi del suo pensiero. Ho anche riletto il suo curriculum, per vedere quali esperienze sul campo abbia avuto, dato che sono proprio esse a influenzare le convinzioni di ogni comandante militare. Quindi, a determinarne la logica che segue nella guida delle operazioni. I due scritti sono: “I principi della vittoria in combattimento” e “Il valore della scienza sta nella capacità di previsione del futuro”.

Che Gerasimov non usi mai il termine “guerra ibrida”, non è stata una sorpresa. Lo sapevo già. Il termine è stato creato dalla fervida fantasia di uno studioso britannico, con nome italiano: un certo Galeotti. La sostanza però rimane. È quella ricordata prima della “guerra non lineare”, ma combinazione di soft e di hard power

Non avevo invece del tutto capito che le strategie e tattiche descritte da Gerasimov non vengono da lui proposte per le Forze Armate russe. Sarebbero invece quelle adottate dalla Nato, cioè dai nemici della Russia.

Dal curriculum di Gerasimov, si vede che la sua unica esperienza diretta di combattimento sia stata il comando di una divisione nei primi due anni della seconda guerra cecena (1999-2009). Durante essi, Groznyj fu  rasa al suolo e gli abitanti sopravvissuti fatti fuggire sulle montagne, da dove continuarono una feroce guerriglia.

La strategia e la tattica seguita dai russi in Ucraina ripete quella usata in Cecenia e in Siria, in particolare ad Aleppo. Le città vengono sistematicamente distrutte con bombardamenti aerei e terrestri. Ciò spiega perché il comando russo dimostri tanto scarso interesse ad assumere il controllo amministrativo delle città conquistate in Ucraina. Lo lasciano agli amministratori locali. Non sono neppure interessati a ottenere un certo consenso della popolazione rimasta, fornendo ad essa viveri e medicinali.

Come andrà a finire è facile immaginare. Finirà in un bagno di sangue. Come ha affermato Macron “i tempi duri devono ancora arrivare”. Lo saranno sempre di più quanto maggiormente Putin si persuaderà di non poter conseguire una completa vittoria. A differenza di un leader democratico, un autocrate non può perdere una guerra. Non può neppure rinunciare a qualcuno degli obiettivi che ha dichiarato “irrinunciabili”. In caso di sconfitta o di vittoria parziale, quando gli va bene, perde il potere e riesce a scappare in esilio. Se gli va male perde anche la pelle.

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