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Il governo è alle prese con la recrudescenza dei contagi, che grazie alle misure prese nei mesi scorsi sono fortunatamente lontani dai picchi che si registrano in altre parti d’Europa, tipo Germania. Tuttavia il piano vaccinale – mentre cresce la richiesta di un obbligo generalizzato – va sicuramente rinforzato, e la terza dose per tutti è l’obiettivo da raggiungere al più presto. Anche perché se la rabbia dei No vax non decresce, in parallelo monta quella dei milioni di vaccinati che non intendono accettare altre restrizioni.

Il pericolo di un terremoto che metta in crisi la coesione sociale è palese: sarebbe opportuna una precisa scelta di campo a favore dei vaccini e della scienza – come ha ricordato con la fermezza e compostezza che gli è propria il presidente Sergio Mattarella – che aiuti a mettere il Paese in sicurezza. Condizione minimale e questa sì davvero obbligatoria per azionare la leva della crescita con le risorse del Recovery e le riforme del Pnrr.

Sembrano considerazioni improntate a ragionevolezza, in un quadro politico invece sempre più contraddistinto dall’isteria dei partiti in vista della corsa per il Quirinale.

Il punto è sempre lo stesso: come fare in modo che le buone pratiche e i successi ottenuti dal governo Draghi non vengano dispersi negli scrutini dei Grandi Elettori e nelle convulsioni del dopo-Colle che minacciano di portare ad elezioni anticipate nel 2022.

Chi vuole SuperMario successore di Mattarella è chiamato a spiegare come salvaguardare l’esperienza delle semi larghe intese con un presidente del Consiglio diverso da Draghi. Per superare l’impasse occorre un accordo almeno tra i partiti più grandi della maggioranza mettendo la sordina ai guastatori trasversalmente dislocati.

Chi al contrario intende lavorare perché il premier attuale resti a palazzo Chigi, ha il  dovere – speculare e contrario – di spiegare come potrebbe reggere l’equilibrio attuale e la salvaguardia di Draghi nel momento in cui ci fossero scelte divisive per il candidato al Quirinale. E come sarebbe possibile trovare una figura che metta d’accordo tutti, senza intaccare la solidità del governo e il perimetro d’azione di chi lo sta guidando. Anche qui, per raggiungere l’obiettivo risulta indispensabile individuare un filo comune tra le principali forze politiche che sostengono l’esecutivo.

Bene, niente di tutto questo sta avvenendo. Contrariamente alle necessità ed esaurito il periodo dell’appeasement che favorì la scelta dell’ex presidente della Bce da parte di Mattarella, le forze politiche hanno ripreso a combattersi l’una contro l’altra armate, come se la sostenibilità del sistema fosse una questione risolta invece che un drammatico problema aperto.

Il toto-successore appare il gioco preferito della politica: successore a palazzo Chigi e successore alla presidenza della Repubblica. Il rodeo dei candidati, spesso gettati nell’arena solo per bruciarne le possibilità, aizza contrapposizioni e manovre, supportate con grancassa dai media. Dimenticando che è il metodo politico il primo elemento da individuare e consolidare e solo dopo arrivano i nomi. Rovesciare le priorità porta unicamente al tutti contro tutti: l’opposto di ciò che è doveroso quando si deve individuare una personalità di garanzia che faccia da arbitro.

Se non si ferma, una simile giostra infernale minaccia di portare o a un  presidente della Repubblica scelto “a caso” eletto grazie ai franchi tiratori, oppure al disfacimento della maggioranza e del governo messi a forza sul piano inclinato che porta al voto tra pochi mesi.

Non solo. Oltre ai guasti evidenziati, ce ne sarebbe uno più profondo e deleterio: far perdere agli italiani la fiducia nell’ultima istituzione che ancora conserva un’aura di unitarietà e azione super partes: la presidenza della Repubblica.

Per il momento prevale l’ipocrisia di chi dice che di tutte queste cose bisogna cominciare a parlarne a gennaio, a ridosso della convocazione del collegio elettorale composto da parlamentari e delegati regionali. Concentrandosi invece sulla legge di Bilancio che è al vaglio delle Camere. Come se le due cose non fossero per forza di cose connesse. Bene, aspettiamo che Natale arrivi e porti saggezza.

Quella che serve a illuminare sul fatto che la iattura di Draghi fuori dal Colle e anche da palazzo Chigi è una possibilità concreta nella quale si può precipitare se non si mettono guard-rail sufficienti, tipo individuare la maggioranza che continuerebbe a sostenere Draghi con un altro capo dello Stato. E che – a coloro che invocano Paolo Gentiloni o altri esponenti di sinistra – un presidente espressione di una sola parte politica, stante i  numeri in Parlamento, non solo è un’utopia ma uno sbrego che poi rischia di affossare ancor più il Paese.

Le zuffe tra partiti rischiano di bruciare l'ultima istituzione rispettata, il Quirinale

Esaurito il periodo dell’appeasement che favorì la scelta di Draghi, le forze politiche hanno ripreso a combattersi. Ma prima che sui nomi, che vengono gettati nell’arena per essere bruciati, bisognerebbe discutere di metodo per l’elezione del successore di Mattarella. Invece prevale l’ipocrisia di chi rinvia tutto a gennaio. Il mosaico di Fusi

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