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L’Iran sembra prossimo a ritornare al tavolo dei negoziati sul nucleare allestito dai Paesi europei del P5+1 a Vienna. Le trattative, congelate per diversi mesi anche alla luce delle elezioni presidenziali iraniane, potrebbero ripartire a novembre. La scorsa settimana Saeed Khatibzadeh, portavoce della diplomazia di Teheran, ha detto a France24 che “stiamo per tornare a Vienna”.

Nei giorni scorsi Ned Price, portavoce del dipartimento di Stato americano, ha sottolineato in un briefing con i giornalisti che “abbiamo sentito dagli iraniani che si aspettano che i negoziati riprendano presto. Speriamo che la loro definizione di presto corrisponda alla nostra definizione di presto. Vorremmo che i negoziati riprendessero a Vienna il più presto possibile. Lo diciamo non da settimane, ma da mesi”. Per Washington il nuovo round di negoziati è “importante per una serie di ragioni, ma anche perché, come abbiamo detto molto chiaramente, continuiamo a credere che la via diplomatica sia aperta”, ha detto Price. Ma ha anche messo in guardia: “Siamo fermamente convinti che serva lavorare rapidamente”, “dipende dagli iraniani”.

Un segnale della prossima ripresa delle trattative sembra essere la visita a Washington di Yair Lapid, ministro degli Esteri israeliano, nella capitale americana per incontrare alcuni membri di spicco dell’amministrazione guidata da Joe Biden e la comunità ebraica, ma anche per partecipare a un incontro a tre con l’omologo statunitense Antony Blinken e quello emiratino Abdullah bin Zayed al Nahyan. Al centro dell’incontro, ha comunicato il dipartimento di Stato americano, “i progressi fatti dalla firma degli accordi di Abramo l’anno scorso, delle future opportunità di collaborazione e delle questioni bilaterali, compresa la sicurezza e la stabilità regionale”.

All’interno di quest’ultima descrizione rientra perfettamente il nucleare iraniano e la possibilità di ripristinare il dialogo dopo l’uscita degli Stati Uniti dell’era di Donald Trump dall’accordo Jcpoa negoziato dall’amministrazione di Barack Obama, con Biden vice e John Kerry, oggi inviato presidenziale per il clima, segretario di Stato.

A metà settembre il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz aveva dichiarato alla rivista Foreign Policy di essere pronto a vedere gli Stati Uniti di nuovo al tavolo delle trattative per l’accordo nucleare con l’Iran. Una dichiarazione piuttosto insolita per un membro del governo israeliano seppur compensata dalla richiesta di un piano B che comprenda pressioni politiche, diplomatiche ed economiche contro Teheran imposta congiuntamente da Stati Uniti, Unione europea, Russia e Cina in caso di fallimento dei colloqui di Vienna.

Attorno al Jcpoa è in corso una fase piuttosto pragmatica. Washington sta cercando i modi per ricomporre la situazione da tempo, e questa linea è accettata dagli altri componenti del sistema 5+1 che negoziò l’intesa nel 2015 (Cina, Russia, Francia, Regno Unito, Ue/Germania). Allo stesso tempo anche l’Iran sta guardando all’accordo con interesse. La Repubblica islamica è consapevole che la politica di resistenza che sta adottando dal rinnovo delle sanzioni statunitensi — dopo l’uscita unilaterale di Washington — è destinata a esaurirsi. Teheran ha bisogno della riapertura di linee vitali economico-finanziarie e commerciali che il rientro degli Usa nel Jcpoa, e il collegato ritorno iraniano alla compliance dell’intesa, si porterà dietro — con la fine delle sanzioni americane. Contemporaneamente, l’Iran sta portando avanti altri contatti diplomatici, come quello con i sauditi. Riad e Teheran si muovono lungo il binario della stabilizzazione delle questioni aperte nel Medio Oriente, consapevoli che questo è ciò che conta adesso nella regione — anche agli occhi di grandi potenze come Usa, Unione Europea e Cina.

Per Lapid e Blinken è il secondo incontro, dopo quello di Roma a fine giugno, e fa seguito all’inviato del segretario di Stato americano durante una telefonata di inizio settembre. Il ministro degli Esteri israeliano non ha in agenda un incontro con il presidente Biden (che ha ricevuto alla Casa Bianca il primo ministro Naftali Bennett a fine agosto). Ne ha, però, uno con la vicepresidente Kamala Harris, uno con il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e uno con Nancy Pelosi, speaker della Camera.

In questa fase l’amministrazione Biden sta cercando di stabilizzare il governo Bennett aiutando il primo ministro, più focalizzato sulle questioni interne che su quelle internazionali e pressoché a digiuno di politica estera. Ma, come già scrivevamo su Formiche.net dopo l’incontro a Roma di fine giugno, la scommessa degli Stati Uniti è forte su Lapid, che secondo gli accordi di rotazione nella coalizione diventerà primo ministro nell’estate del 2023, cioè nel secondo biennio dell’amministrazione Biden, quando questa potrebbe essere più concentrata di quanto già non lo sia adesso verso la politica estera.

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Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

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