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Mentre la rotta del Titanic stava per incrociare l’iceberg, si dice che a bordo si festeggiasse. Dalle nostre parti e al nostro tempo c’è chi vorrebbe festeggiare: il Pil cresce oltre il 6%, proiettando l’Italia all’inedito ruolo di locomotiva d’Europa. Primato che celebriamo anche nei risultati di contenimento della pandemia, almeno rispetto ai grandi partner europei. Ma siamo sicuri che la festa sia giustificata?

Se la campagna vaccinale – numeri alla mano – ci vede esibire numeri migliori di quelli del resto d’Europa, grazie al decisionismo adottato sul “Green pass”, non dovremmo essere così solerti nel celebrare la presunta ripresa economica. Alle preoccupazioni di buon senso – avanzate sin qui troppo timidamente, circa l’aumento del debito in rapporto al Pil e la prospettiva di nuovo debito che stiamo per cumulare con i fondi del Pnrr – si è aggiunta la voce dell’autorevole dirigenza della Banca d’Italia.

Insomma, non si tratta di parole uscite dal seno di chi – pochissimi oggi in Italia – ce l’ha con Mario Draghi e con la sua autorevolezza. Banca d’Italia non è certo covo di chi rema contro il premier. Eppure, a un recente convegno Fabrizio Balassone, capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, ha lanciato più di un ragionevole “alert”, circa una presunta “illusione finanziaria” che starebbe vivendo il Paese.

L’Europa ci erogherà un prestito (la quota a fondo perduto è meno della metà) di circa 240 miliardi, che dovremo restituire dal 2028. E questo è nuovo debito, che si aggiunge a quello di cui siamo campioni, da sempre, per inseguire la spesa corrente improduttiva. Quando ci si indebita, ci si deve assicurare di produrre reddito – quindi crescere – per ripagare il prestito e gli interessi. Balassone ha chiarito che “tenere alta la crescita al termine del Pnrr richiederà un grosso impegno e una grossa coesione sociale”. Tradotto vuol dire che l’economia dovrà correre, per consentire al Fisco di recuperare base imponibile per assicurare risorse finanziarie da destinare alla restituzione del debito.

Per rendere sopportabile il debito occorrerà un’operazione fiscale che non potrebbe essere sopportabile senza un’economia forte o almeno rafforzata.

Per continuare a correre – dopo la fiammata del Pil di quest’anno e forse del prossimo – restano da risolvere due problemi, non nuovi: bisogna che ci siano più italiani che lavorano e bisogna che la produttività venga incrementata. La grande crisi demografica, aggiunta alle rinnovate tentazioni assistenzialistiche (sia sotto forma di reddito di cittadinanza elargito con generosità, sia sotto forma di un braccio di ferro sugli anticipi pensionistici) rischia di far cadere del 13% la popolazione occupabile (dai 15 ai 64 anni).

Non solo, l’invecchiamento in atto, nei prossimi vent’anni farà lievitare la spesa per salute, pensioni e assistenza fino ad assorbire 3 punti di Pil rispetto a oggi. Allungare la vita lavorativa non è solo auspicabile, ma necessario per evitare di restare sepolti sotto il peso del debito vecchio e nuovo. La teoria del debito buono e del debito cattivo, che ha segnato la comunicazione di Mario Draghi fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi, rischia di essere travolta dall’entità del debito: un debito insostenibile è sempre cattivo.

Se il Pnrr non sarà eseguito con scrupolo, mancheranno gli investimenti, che – soli – potrebbero garantire la crescita e quindi il gettito fiscale per ripagare il nuovo debito.

Insomma, conti alla mano, ci troviamo di fronte al vecchio dilemma che riguarda la crescita economica, che ha bisogno di favorire la produzione di lavoro e meno bisogno di inseguire le pensioni (se non agganciate alle nuove condizioni di vita, età compresa), o tanto meno la “pensionite” come ha detto Irene Tinagli, insospettabile vicesegretario Pd.

La realizzazione delle attese sul Pnrr dipenderà in gran parte dall’efficienza della nostra burocrazia e dalla capacità di alleggerirla di norme e di vincoli astringenti. La convinzione di controllare la spesa corrente e di tenere un’attenzione desta sui conti dello Stato dipenderà dalla responsabilità di chi ci governa. La necessità di affrontare un futuro di crescita, di lavoro e di produttività (senza inseguire il comodo vicolo dell’assistenzialismo) dipende dalla qualità delle forze politiche (e sindacali) che agiscono dentro e anche fuori del Parlamento.

Siamo sicuri che questa festa di fine crisi sia giustificata?

Banca d’Italia non è certo covo di chi rema contro il premier. Eppure, a un recente convegno Fabrizio Balassone, capo del Servizio Struttura economica di Via Nazionale, ha lanciato più di un ragionevole alert circa una presunta “illusione finanziaria” che starebbe vivendo il Paese. La strada per non disperdere ripresa economica e Pnrr

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