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La Siria, che durante gli anni più caldi della guerra civile è stato il centro degli scontri per procura nel Medio Oriente, sta diventando un terreno per test di distensione? Per certi versi sì, perché si stanno muovendo contatti e riallineamento finora congelati, per altri sono queste stesse dinamiche a essere rischiose.

In questi giorni per esempio, gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione riguardo all’avvicinamento — ritenuto eccessivo — degli Emirati Arabi alla Siria. È una posizione nel pieno della cura con cui l’America tratta i propri interessi. Da un lato chiede massimo impegno e coinvolgimento ai partner per gestire dossier complicati e fare in modo che la regione viaggi secondo un flusso morbido, dall’altro vuole evitare sbilanciamenti durante questo esercizio.

La dichiarazione sugli Emirati non è nuova, qualcosa di simile c’era già stato quando nel 2019 Abu Dhabi aveva inviato rappresentanti influenti alla fiera di Damasco, ma va detto che ciò non ha avuto alcun impatto sulla politica degli Emirati Arabi Uniti nei confronti della Siria. Ora il momento è ancora più delicato, perché Bashar El Assad ha ormai vinto la guerra civile durata dieci anni e si appresta a guidare la ricostruzione del Paese. Ricostruzione su cui in primis la Russia, e poi in secondo luogo la Cina (non così ansiosa di prendere parte al caos che si è creato e si sta creando, ma interessata a non rimanere indietro su un dossier comunque interessante).

Il motivo della preoccupazione americana è legato a potenziali collegamenti con cui Abu Dhabi potrebbe aumentare le connessioni con Mosca e Pechino. Il problema è se queste oltre essere di carattere business possano scarrellare sul piano della geopolitica.

La contingenza è netta: il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah bin Zayed, ha visitato Damasco e incontrato il rais Assad (tra gli altri). Tema del faccia a faccia, secondo le dichiarazioni ufficiali, rafforzare i legami tra i loro Paesi in vari campi. Hanno sottolineato le strette relazioni tra le nazioni e Assad ha elogiato le “posizioni obiettive” adottate dagli Emirati Arabi Uniti.

Per Washington si crea anche un problema di immagine. L’amministrazione Biden sta spingendo fortemente l’allineamento valoriale delle democrazie occidentali come vettore di politica internazionale. Vedere il dialogo attivo tra un alleato controverso (la cui alleanza con Washington è costantemente messa sotto critica per il tema dei diritti) stringere la mano apertamente a un dittatore sanguinario colpevole di centinaia di migliaia di uccisioni e repressioni violente dell’opposizione è un’immagine imbarazzante.

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