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20 settembre 2005: presentando l’intervento del presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, il Corriere della Sera scriveva: “Non vi è alcun reale bisogno” di norme che, come i “Pacs istituiti in Francia”, potrebbero portare ad un “piccolo matrimonio”, che “produrrebbe al contrario un oscuramento della natura e del valore della famiglia e un gravissimo danno al popolo italiano”. È quanto ha detto Ruini al consiglio permanente dei vescovi italiani. Quella discussione molti ricordano come andò a finire. Andò a finire che i Pacs o Dico non si fecero. 15 settembre 2021: parlando con i giornalisti sul volo che lo ha ricondotto in Italia dalla Slovacchia papa Francesco ha detto: “Se una coppia omosessuale vuole vivere insieme, gli Stati hanno possibilità civilmente di sostenerla, di dare loro sicurezza di eredità, salute, ecc… I francesi hanno una legge su questo, non solo per gli omosessuali, ma per tutte le persone che vogliono associarsi. Ma il matrimonio è matrimonio. Questo non vuol dire condannarli, sono fratelli e sorelle nostri, dobbiamo accompagnarli”. È difficile non scorgere uno sviluppo tra quanto si affermava allora e quanto si afferma oggi.

Sono tutti qua gli sviluppi – per Bergoglio in questo caso non è così perché lui le unioni civili le propose già in Argentina, quando era arcivescovo e fu messo in minoranza dai suoi confratelli vescovi – percepibili nel discorso pronunciato dal papa davanti ai giornalisti sul volo di rientro dalla Slovacchia? Direi di no. Passiamo all’aborto, che per il papa ovviamente resta omicidio. Nel 1995 Giovanni Paolo II ha scritto nell’Enciclica Evangelii vitae che è “l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”. Ieri Francesco, ribadendo che è uccisione deliberata e diretta, quindi omicidio, non ha proseguito in termini dottrinali, ma riferendosi a quanto accertato dalla scienza ha affermato: “Prendete voi un qualsiasi libro di embriologia per studenti di medicina. La terza settimana dal concepimento, tutti gli organi stanno già lì, tutti, anche il Dna… È una vita umana!”.

La questione che emerge è antica: quando inizia la vita? San Tommaso non riteneva che cominciasse al momento del concepimento, poi però è prevalso il criterio del turziorismo, che letteralmente vuol dire “opinione più sicura” quindi la ricerca della maggiore sicurezza per risolvere un dubbio morale. Se non si può determinare con esattezza il momento in cui comincia la vita è meglio affidarsi al criterio della certezza assoluta di non sbagliarsi, ponendo l’inizio della vita al momento stesso del concepimento. Ora la ricerca scientifica parla concordemente di inizio della vita alla terza settimana dal concepimento, una teoria non dissimile da quella di San Tommaso. Si tratta di novità scientifiche, che evidentemente però hanno ricadute anche sul dubbio morale. Il punto a me sembra avere grande importanza e riguarda la rigidità del pensiero in moltissimi casi, non solo per la Chiesa cattolica (qui è interessante notare che proprio questo criterio per risolvere il dubbio morale ha guidato i dotti dell’islam a proibire l’alcol. Il Corano proibisce di ubriacarsi, ma siccome non è facile determinare quando un uomo si ubriachi la maggiore sicurezza si è trovata proibendo l’assunzione stessa di alcolici).

Ma sono tutti qui gli sviluppi percepibili ieri, nel colloquio che il papa ha avuto con i giornalisti? No. Rispondendo a una domanda sui vescovi americani che vorrebbero negare a Biden l’accesso all’eucarestia perché favorevole alla legislazione che riconosce la possibilità di scegliere o di non scegliere l’aborto, il papa ha detto: “Se noi guardiamo la storia della Chiesa, vedremo che ogni volta che i vescovi hanno gestito non come pastori un problema si sono schierati sul versante politico. Pensiamo alla notte di San Bartolomeo: eretici, sì, ma l’eresia è gravissima… sgozziamoli tutti… Pensiamo a Giovanna d’Arco, alla caccia alle streghe… A Campo di Fiori, a Savonarola. Quando la Chiesa per difendere un principio lo fa non pastoralmente, si schiera sul piano politico. Questo è sempre stato così, basta guardare la storia. Cosa deve fare il pastore? Essere pastore, non andare condannando. Ma anche il pastore degli scomunicati? Sì, è pastore e deve essere pastore con lui, essere pastore con lo stile di Dio. E lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Tutta la Bibbia lo dice. Vicinanza già nel Deuteronomio in cui dice a Israele: ‘Dimmi quali popoli hanno gli dei così vicini come tu hai me?’. Vicinanza, compassione. Il Signore che ha compassione di noi. Leggiamo Ezechiele, leggiamo Osea. Basta guardare il Vangelo e le cose di Gesù. Un pastore che non sa gestire con lo stile di Dio, scivola e si mette in tante cose che non sono da pastore”. Non è una Chiesa da guerre culturali quella di Francesco, non è una Chiesa con l’urgenza della condanna. Eppure questa idea di Chiesa esiste, eccome.

Un’altro sviluppo di rilievo si potrebbe indicare, per qualcuno direi una novità: è emerso dal viaggio e poi dall’incontro con i giornalisti. Francesco fisicamente sta bene, nonostante tante illazioni ha retto un ritmo non da malato grave, come molti lo hanno definito.

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