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Due missili balistici a corto raggio la scorsa notte, altri due da crociera pochi giorni fa: nel giro di una settimana Kim Jong-un ha testato due volte le sue (nuove?) armi. Giappone e Corea del Sud hanno diffuso commenti preoccupati sull’aumento delle esercitazioni che segnano un ritorno alle dimostrazioni di forza militare da parte di Pyongyang — dopo che per mesi i test avevano seguito ritmi più rallentati.

Per Francesca Frassineti, analista esperta di Asia e di Coree dell’Ispi, questi test sono uno strascico delle conseguenze del fallimento del vertice di Hanoi, riferendosi al secondo degli incontri tra Kim e il presidente americano Donald Trump. Era  febbraio 2019, i due si sarebbero visti ancora a giugno al confine coreano lungo il 38esimo parallelo: la narrazione parlava di possibili accordi, che nei fatti non sono mai arrivati.

“La Corea del Nord non si sente più in dovere di osservare la moratoria del 2017, siglata nel momento in cui si credeva possibile un’intesa con Washington”, spiega Frassineti. E “sta testando tra l’altro tipologie di missili che gli permettono di non sforare le linee rosse tratteggiate dagli Usa, e in questo modo testa le capacità di tolleranza della Comunità internazionale”.

Trump ha ignorato per diverse volte i lanci di prova di missili balistici a corto raggio — e lo faceva perché in quel momento cercava pragmaticamente di raggiungere quello che si era posto come obiettivo, consegnare agli elettori un accordo con uno dei grandi nemici dell’America, risultato che poi intendeva capitalizzare alle urne. L’attuale presidente Joe Biden ha definito “business as usual” altri test effettuati durante i primi mesi della su presidenza: una minimizzazione frutto anche della volontà di tenere il complicato dossier nordcoreano fuori dai riflettori, dalle (sue) attenzioni e dal suo coinvolgimento.

”È un contesto che permette alla Corea del Nord di continuare a provare le capacità del suo deterrente senza provocare escalation che possano portare l’Onu ad approvare nuove sanzioni. È il caso dei missili cruise, fuori dal quadro sanzionatorio da sempre perché si pensava che Pyongyang non potesse dotarsi così velocemente di vettori da crociera in grado di traportare testate nucleari”, aggiunge Frassineti. E invece pare che, secondo esplicita indicazione di Kim, gli ingegneri nordcoreani abbiano migliorato la tecnologia di questi tipi di missili e potrebbero aver già raggiunto la capacità di miniaturizzare le testate nucleari e renderle trasportabili con questi armamenti — che oltretutto volano più bassi e possono meglio ingannare i sistemi di difesa aerea.

Gli ultimi test hanno coinciso con l’incontro trilaterale a Tokyo in cui Giappone, Corea del Sud e Usa hanno anche parlato di come coordinare le politiche su Pyongyang e con la visita a Seul del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ma secondo Frassineti il timing non è un elemento sorprendente — molto spesso Kim si è fatto vedere in certi momenti. “L’aspetto più inconsueto — continua l’analista — riguarda il fatto che anche la Corea del Sud ha intensificato i test missilistici, lo ha fatto anche in questi giorni, e il presiedere Moon Jae-in ha supervisionato in prima persona il lancio di un missile balistico da un sottomarino (la Sudcorea è l’unico paese ad avere questi vettori in forma convenzionale, ndr). Da sottolineare c’è dunque l’evoluzione del panorama di difesa sudcoreano”.

Secondo Frassineti le sfide militari nordcoreane, ma anche quelle che arrivano dalla Cina, hanno un forte impatto sulle spese della difesa di Seul: “Aumento del 5,5 per cento nel 2020; potenziamento della produzione bellica interna; dotazione dei missili balistici lanciati dai sottomarini, unico tra gli otto Paesi che hanno sommergibili in grado di lanciare SLBM a non possedere il deterrente nucleare; con il dibattito interno sul nucleare che si riapre ogni volta che aumentano le tensioni con il Nord. Il trend degli investimenti militari di Seul è in ascesa, velocizzato anche dagli scossoni di Trump sull’alleanza e sulle spese americane, con Moon che sta cercando di aumentare la propria indipendenza sebbene siano gli stessi sudcoreani a sottolineare come l’alleanza con gli Usa resti la dimensione strategica della Difesa di Seul”.

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