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Una soluzione americana al problema cinese. Possibile, se l’alternativa è il contagio della finanza globale. E non solo per colpa dei contratti derivati che Pechino sta piazzando in giro per il mondo. La crisi del mercato immobiliare in Cina rischia di contagiare anche la prima economia mondiale, gli Stati Uniti, in piena ripresa post-pandemica, con un Pil che a fine anno potrebbe impennarsi al 6,6%.

Disinnescare la mina cinese e attutire gli effetti del collasso di Evergrande, farebbe dormire a tutti sonni più tranquilli, spiega l’economista Milton Ezrati dalle colonne di Forbes, che ha dedicato ampio spazio all’agonia del settore immobiliare dell’ex Celeste Impero, un buco nero pronto a inghiottire miliardi di capitale, non solo cinese.

“La Cina ha grossi problemi. I fallimenti del debito hanno iniziato a metastatizzare. Finora, la paura e l’incertezza sono rimaste dall’altra parte del Pacifico. Con un po’ di fortuna, rimarrà lì, ma nella finanza questi mali possono viaggiare su grandi distanze alla velocità della luce. E raggiungere gli Stati Uniti”, spiega Ezrati. “Gli americani dovrebbero sperare che Pechino si muova per alleviare gli effetti negativi di questi fallimenti o le crescenti preoccupazioni su chi sarà il prossimo Paese inadempiente e su chi diventerà un problema per il mondo si propagheranno”. Insomma, la finanza Usa, come quella europea, non è certo al riparo dalle tempeste asiatiche.

L’economista e docente cita la lunga sequela di default materializzatisi negli ultimi mesi. Evergrande, Fantasia, Sinic. Tutti giganti del mattone finiti insolventi verso il mercato e inadempienti verso risparmiatori e investitori che ne hanno sottoscritto le obbligazioni. “Le agenzie di rating hanno iniziato a declassare gran parte del debito societario cinese a livelli che indicano il default, mentre tutti gli occhi si sono voltati verso i circa 229 milioni di dollari del debito in dollari della Xinyuan Real Estate Company, con sede a Pechino”.

Ormai l’effetto è domino. Venerdì scorso China Properties Group ha dichiarato di essere insolvente per 226 milioni di dollari. Nelle stesse ore, S&P Global Ratings ha declassato China Aoyuan, uno dei più grandi sviluppatori nella provincia cinese del Guangdong, che si concentra sull’area della Greater Bay. L’agenzia di rating ha sottolineato il suo elevato debito e ha affermato che la mossa dell’azienda per ridurre il debito non è sufficiente.

Dove sta il problema? “Il grande pericolo è nell’impatto di questi fallimenti sul livello generale di fiducia nel sistema finanziario. La fiducia è un ingrediente essenziale nella finanza. Senza di essa, nessun investitore può avere alcuna fiducia che la persona o l’impresa con cui ha a che fare possa adempiere ai propri obblighi. Senza quella fiducia, le persone evitano ogni attività. Il trading, il prestito, l’acquisto di azioni, qualunque cosa, poi tutto si ferma e la finanza fallisce nella sua funzione essenziale, che è quella di convogliare fondi da risparmiatori e investitori.”

Eppure, una soluzione a tutto questo c’è: fare come gli Stati Uniti all’indomani di Lehman Brothers. “Washington nel 2008 volle evitare proprio i potenziali problemi di oggi, derivanti dalla crisi cinese, agendo con una estensione del credito alle banche in difficoltà in modo che tutti gli investitori potessero avere fiducia sulla solidità delle banche. La Fed ha inondato i mercati finanziari di liquidità a bassi tassi di interesse, in modo che tutti sapessero che se qualcuno aveva problemi in un’operazione o in un prestito poteva facilmente prendere un prestito a condizioni facili e soddisfare i propri obblighi. L’idea era quella di proteggere l’economia ristabilendo la fiducia.” Dunque, “Pechino potrebbe seguire il modello americano di 13 anni fa.” Lo farà?

Cina

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