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Il Patto di Stabilità deve tornare e la ricreazione finire. Ma in forme e meccanismi ben diversi da quello ispiratore di anni di rigore, modificato nel 2012 attraverso il Fiscal Compact e fino a pochi mesi prima della pandemia testo sacro dell’austerity. Dunque, quando l’Europa (con il placet di certa Germania filo-rigorista) fa intendere all’Italia che tra un anno e sei mesi saranno ripristinate le regole di bilancio, seppur meno ottuse delle precedenti, dice qualcosa di sensato. Di questo è più che convinto Franco Bruni, vicepresidente dell’Ispi e già professore di economia alla Bocconi.

Entro il 2023, pandemia permettendo, il Patto di Stabilità verrà tolto dalla modalità stand by dove si trova da un anno e passa ormai. La tempistica è giusta? 

Credo sia perfettamente normale che il Patto di Stabilità venga riattivato, visto che è stato sospeso e non, si badi bene, cancellato, a causa di un evento eccezionale. Certamente c’è stato un dibattito sulla tempistica, ma sul fatto che il Patto debba tornare non ho il minimo dubbio.

Concorderà che forse il Patto, così come siamo abituati a conoscerlo, non può essere riattivato. Con quelle regole, tipiche dell’austerity…

Non dobbiamo mai dimenticarci che già prima dell’inizio della pandemia il Patto era in crisi, non funzionava più, né per noi né per gli altri. E non veniva applicato da un paio di anni. Dopo la crisi finanziaria del 2009, il Patto era stato riformato con quell’architettura che poi era alla base dell’austerity, con meccanismi complessi e non molto utili. Per questo la Commissione Ue lavorava a dei progetti di riforma fin da prima dello scoppio della pandemia, che ha solo rimandato un cambiamento del Patto che era già in essere.

Allora possiamo stare tranquilli. Quel Patto di Stabilità non tornerà…

Sì, è così. Ma un ritorno delle regole è indispensabile per l’Eurozona. Regole intelligenti, però. Ad oggi l’ipotesi che va per la maggiore è un Patto rispettoso delle condizioni economiche, sociali e finanziarie dei singoli Stati. Ma ripeto, una riattivazione delle regole ci vuole.

Anche perché certe regole ferree hanno fatto male all’Italia dai conti troppo spesso ballerini.

Non sono d’accordo. Il Patto di Stabilità non ha mai fatto davvero male all’Italia, anche perché spesso e volentieri lo hanno adeguato alla nostra situazione. Anzi, siamo noi che ci siamo fatti male da soli, pensiamo solo all’estate del 2011 e a quella famosa lettera. Adesso è tempo di regole sui conti finalmente giuste e ben calibrate sulla situazione dei singoli Paesi.

Certo se avessimo un debito un tantino più sotto controllo sarebbe tutto più facile.

Il segreto dei prossimi tempi sarà capire meglio che cos’è un debito buono, sia pubblico che privato. Se buono significa sostenibile, c’è una relazione con la sostenibilità generale della crescita economica.

Bruni, l’Europa ci ha mandato anche un altro messaggio. Il blocco ai licenziamenti è una forma di discriminazione verso i precari. Ma è anche una distorsione del mercato?

Condivido nel modo più assoluto la valutazione dell’Ue. Chi è precario e cerca una sistemazione definitiva viene ostacolato da chi non può essere licenziato, si tratta di un’ingiustizia sociale grave. Qui servono politiche attive, non ingessature del mercato del lavoro. E poi bisogna smetterla con la regionalizzazione del lavoro, ogni regione in termini di politiche attive è andata sempre per i fatti suoi, ora serve obbligare le regioni a cedere sovranità al governo centrale sulle politiche attive.

Il nuovo Patto di Stabilità che serve all'Italia e all'Europa. Parla Bruni (Ispi)

Secondo l’economista e vicepresidente Ispi, le regole che ispirarono l’austerity non torneranno perché già prima della pandemia Bruxelles lavorava a una riforma del Patto, ma non è pensabile un’Europa senza vincoli. La soluzione sono parametri di bilancio calibrati in base alla situazione di ogni Paese. I licenziamenti? L’Ue ha ragione

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