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Undici jihadisti baghdadisti uccisi in Pakistan in un’operazione terroristica. L’anti-terrorismo pakistano (il Ctd) ha accerchiato un edificio nel distretto di Mastung, provincia del Baluchistan, e chiesto la resa dei terroristi all’interno. La casa era usata come rifugio sicuro da membri operativi dello Stato islamico nel Khorasan, che non si sono arresi davanti alle autorità; ne è nato un conflitto a fuoco e i poliziotti hanno ucciso i miliziani. Nell’operazione sono stati sequestrati giubbotti e cinture esplosivi, granate, armi automatiche e munizioni.

Nei giorni scorsi un’operazione simile era stata compiuta contro lo United Balochistan Army, un gruppo separatista della regione. Il Baluchistan è un’area sensibile, spalmata al confine tra Pakistan e Iran dove fenomeni indipendentisti sono iniziati nel 1948 e dove le realtà terroristiche sono penetrate per interesse e sfruttando gli spazi ampi all’interno delle istanze di protesta. Recentemente la provincia è stata oggetto di diversi attentati ai danni di cittadini cinesi, che si trovano nell’area perché Pechino ha individuato da sempre nel Pakistan lo sbocco sull’Oceano Indiano della Belt and Road Initiative. L’ultimo degli attentati è stato condotto il 21 agosto, un mese prima ce n’era stato un altro: il bilancio totale è di una ventina di cinesi uccisi.

L’operazione del anti-terrorismo pakistana ha alla base anche queste matrici di politica internazionale. Sia la Cina che gli Stati Uniti individuano nel rischio sicurezza il tema centrale nell’area, anche alla luce del ritorno dei Talebani al potere a Kabul. Islamabad, su cui pesano accuse di aver tenuto vivi gli insorti afghani, ha la necessità di mostrarsi disponibile all’azione contro i terroristi baghdadisti. Lo Stato islamico nel Khorasan è una realtà nemica di chiunque, dunque perfetta come vettore. Anche per il Pakistan, che vuole dimostrarsi ricettivo davanti alle preoccupazioni degli alleati più importanti e intende rinvigorire il ruolo da interlocutore nella regione dell’Asia Centrale.

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