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Mettere un piede nel porto tedesco di Amburgo significa mettere l’altro nello scalo italiano di Trieste? Questa domanda ha iniziato ad assillare gli addetti ai lavori e chi si occupa di sicurezza nazionale dopo le indiscrezioni su un possibile ingresso nel terminal container Tollerort, uno dei quattro dello scalo nel Nord della Germania, da parte di Cosco, colosso della logistica di proprietà del governo cinese che ha già messo le mani su un altro porto del Mediterraneo, quello del Pireo. Le parti stanno trattando l’acquisto di una quota tra il 30 e il 40 per cento e secondo quanto riferito dalla stampa tedesca il governo di Angela Merkel non avrebbe presentato obiezioni.

A far accendere i riflettori italiani sull’operazione sinotedesca è il fatto che la compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, ha concluso a gennaio un’operazione avviata a settembre per l’acquisizione del 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste.

In un report pubblicato nelle scorse settimane dall’Istituto affari internazionali, Francesca Ghiretti evidenziava come l’accordo trentennale segni “una svolta del Porto di Trieste verso i partner europei e la probabile fine del progetto di investimento cinese previsto nel memorandum d’intesa con CCCC di novembre 2019” firmato a Shanghai, alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (governo giallorosso), sulla scia della firmata italiana sulla Via della Seta avvenuta pochi mesi prima, a marzo (governo gialloverde). Inoltre, spiegava la ricercatrice, “la piattaforma in cui ha investito HHLA è la stessa che ha attirato l’interesse di CMG (China Merchants Group, un’altra azienda di Stato cinese ma con sede a Hong Kong, ndr) nel 2018; alla fine ha ricevuto gli investimenti necessari non dalla Cina ma dalla Germania”.

Nello stesso documento emerge come mentre per il porto Genova l’interesse per gli investimenti cinesi è (era?) legato alla “costruzione di una nuova diga”, per quello di Trieste è (era?) connesso ai collegamenti ferroviari. Proprio la ragione per cui HHLA ha deciso di puntare sullo scalo adriatico.

All’indomani dell’intesa iniziale con la tedesca HHLA, Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale di Trieste, parlava di una “ottima soluzione per non rinunciare alla Via della Seta”. E aggiungeva: “Sottolineo Via della Seta e non Belt and Road: il secondo è un progetto cinese, il primo è un corridoio trasportistico deciso dal mercato e non pianificato da nessuno che propone una soluzione europea. In questa, Amburgo e Trieste non sono soggetti passivi come accade quando si entra nella Belt and Road, ma sono soggetti propositivi che accettano la sfida”. D’Agostino concludeva dicendo che “i cinesi non sono lì perché forse nella trattativa i tedeschi sono stati più bravi”.

Alla luce delle trattative tra Cosco e HHLA chi aveva tirato uno sospiro di sollievo con l’ingresso tedesco a Trieste potrebbe ritrovarsi a temere che nell’Alto Adriatico la Cina sia uscita dalla porta e rientrata dalla finestra.

I porti italiani, già oggetto delle preoccupazioni del Copasir, sono stati al centro di un’intervista rilasciata al quotidiano ligure Il Secolo XIX da Robert Needham, da ottobre console generale statunitense a Milano. A una domanda sugli scali individuati come strategici per la Via della Seta cinese – Genova ma anche Trieste – il diplomatico rispondeva sottolineando come i due porti siano “chiave nelle relazioni economiche” tra i due Paesi. Poi aggiungeva: “Come alleati nella Nato, con truppe presente nelle basi italiane e con sistemi di sicurezza ed armamento condividisi, speriamo che l’Italia valuterà con attenzione i potenziali rischi per l’economia e la sicurezza nella ricerca di partner per progetti di sviluppo dei suoi porti”. 

Come sottolineavamo su Formiche.net, porti e 5G saranno tra le priorità del prossimo ambasciatore statunitense a Roma. In pole position c’è Jane Dorothy Hartley, 71 anni, già ambasciatrice in Francia e a Monaco durante la seconda amministrazione di Barack Obama.

Intanto, la Guardia di finanza ha messo sotto la sua lente i traffici illeciti che partono dalla Cina e arrivano in Italia. Le Fiamme gialle hanno scovato undici depositi di falso Made in Italy, rivela Il Sole 24 Ore. Tre sono le rotte: La terza “arriva nei porti del Nord Europa, come Rotterdam e Amburgo, poi continua via terra a Koper (in Slovenia, ndr) e in Italia”, si legge sul quotidiano economico.

“La strategia cinese appare improntata ad acquisire il controllo o almeno una presenza significativa nella gestione degli scali dove approdano le merci”, spiega il generale Giuseppe Arbore, capo del reparto Operazioni del comando generale della Guardia di finanza, citato dal Sole 24 Ore.

Parole che sembrano trovare riscontri anche nelle recenti preoccupazioni legate al futuro del porto di Trieste.

L’ingresso cinese nel porto di Amburgo riguarda anche Trieste

Le mire del colosso cinese Cosco sul porto di Amburgo riguardano anche l’Italia. Infatti il gruppo che gestisce lo scalo tedesco ha recentemente preso il controllo della Piattaforma logistica Trieste. Quell’operazione fece tirare un sospiro di sollievo ma forse era troppo presto…

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