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“Ancora una volta nella storia l’energia diventa protagonista di una fase di rottura del capitalismo: una grande trasformazione si fa strada, accompagnata dalla rivoluzione tecnologica digitale”.

Il sottotitolo del bel libro (“Energia. La grande trasformazione”, Laterza) dell’economista dell’università Roma Tre Valeria Termini sintetizza in modo semplice e brillante la fase che, per almeno i prossimi tre decenni, accompagnerà lo sviluppo del nostro pianeta, una fase che parte dalla consapevolezza che il progresso tecnologico e la crescita economica non possono più prescindere dalla tutela dell’ambiente.

Questa consapevolezza è ormai uscita dal recinto dei dibattiti ideologici sulla difesa dell’ecosistema basata esclusivamente su limiti e divieti, su misure di pura facciata come le inutili “domeniche ecologiche” e su iniziative tendenti a comprimere lo sviluppo – considerato nocivo per l’umanità – all’insegna di slogan tanto facili quanto pieni di dannose implicazioni economiche come la ricerca della “decrescita felice”.
Nella “decrescita” non c’è felicità né benessere né, tantomeno, giustizia sociale.

Lo ha capito la Cina che, per correggere i danni ambientali provocati da tre decenni di incessante crescita economica, non ha deciso di fare passi indietro nella produzione industriale tornando all’aratro di legno di prima del disgraziato “grande balzo in avanti” del 1958, ma ha delineato nel suo 14° piano quinquennale – 2020, 2025 – un progetto strategico all’insegna della “crescita sostenibile”, dandosi l’impegno a proseguire nella costruzione di un modello di sviluppo dinamico ma armonico con le esigenze di tutela dell’ambiente, sulle orme già intraprese nel 13° piano quinquennale che hanno consentito al gigante asiatico di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’ultimo quinquennio del 12%, un risultato che potrebbe portare la Cina ad essere il primo paese al mondo a raggiungere gli obiettivi delineati nell’Accordo sul clima di Parigi del 2012, che prevedono il raggiungimento del livello “emissioni zero di CO2” entro il 2030.

L’Europa e gli Stati Uniti, anche sulla spinta determinata dallo shock economico conseguente alla pandemia di Covid-19, hanno deciso di intraprendere la strada tracciata da Pechino che, anche se viene percepito e rappresentato come un “avversario strategico” dell’Occidente, può essere considerato un compagno di strada nella “svolta verde” dell’economia del terzo millennio.
Il “Green deal” dell’Unione europea è diventato parte integrante del “Recovery plan” disegnato per aiutare i paesi dell’Unione a uscire dalle sabbie mobili della crisi produttiva determinata dalla pandemia.

Una fetta consistente di risorse (47 miliardi per l’Italia) viene infatti destinata alla “grande trasformazione” dei nuovi modelli di sviluppo, all’insegna della ricerca e nello sfruttamento di risorse energetiche che, a differenza delle tradizionali “fonti non rinnovabili”, promuovano la crescita economica e industriale con l’uso di nuovi strumenti in grado di operare in condizioni di equilibrio con l’ecosistema.
Il principale di questi strumenti è senza dubbio l’idrogeno.

L’idrogeno come fonte di energia ha rappresentato il sogno di generazioni di scienziati, perché oltre ad essere il capostipite della “tavola degli elementi” e la sostanza più abbondante del pianeta se non dell’intero universo.
Il suo grande limite è che per essere “staccato” dall’ossigeno con il quale forma l’acqua occorrono procedure ad alto consumo di energia elettrica, energia che per tradizione è stata finora fornita da combustibili fossili e, quindi, inquinanti.
Infatti per produrre idrogeno “pulito” dall’acqua occorre separarlo dall’ossigeno con l’elettrolisi, un meccanismo che richiede una grande quantità di energia.
Usando grandi quantità di energia elettrica prodotta con sistemi tradizionale, e quindi inquinanti, provoca il paradosso che per produrre energia “pulita” all’idrogeno si continua a inquinare l’ambiente con le emissioni “sporche” delle fonti non rinnovabili.

Il paradosso può essere superato con una piccola nuova rivoluzione industriale: trarre energia dal mare, dal sole e dal vento per alimentare l’elettrolisi che produce Idrogeno.
La rivoluzionaria strategia basata sull’uso di energia “verde” per produrre quantità idonee di idrogeno a costi accettabili, può essere considerata la chiave di volta per una svolta produttiva che può fare uscire il mondo dalla crisi pandemica con ricadute positive sull’ambiente e sul clima.
L’Unione europea ha già delineato nell’estate dello scorso anno un progetto di investimenti per l’ammontare di 470 miliardi di euro, denominato “Strategia per l’energia dell’idrogeno” che mira a dotare i paesi dell’Unione di strumenti per l’elettrolisi dell’idrogeno da fonti rinnovabili e pulite in grado di assicurare entro il 2024 la produzione di un milione di tonnellate di idrogeno “verde” (cioè pulito perché estratto dall’acqua).
Si tratta di un obiettivo assolutamente sostenibile, visto che secondo le stime dell’Aie (Agenzia internazionale dell’energia) la capacità “totale installata eolica, marina e solare è destinata a superare il gas naturale entro il 2023 e il carbone entro il 2024”.

Uno studio del 17 febbraio 2021 dell‘Hydrogen council e di McKinsey & Company , intitolato “Hydrogen insights”, dimostra che in tutto il mondo si affacciano sul mercato nuovi progetti sullo sfruttamento dell’idrogeno, in quantità tali “che le industrie non riescono a stargli dietro”.
Secondo lo studio, entro il 2030 nella ricerca e produzione di idrogeno verrà investita globalmente la somma di 345 miliardi di dollari ai quali occorre aggiungere i miliardi stanziati dall’Ue nella “Strategia dell’idrogeno”.
Per comprendere come la spinta all’idrogeno sembri ormai inarrestabile basta vedere che l’Hydrogen council, che solo quattro anni fa contava 18 membri, è arrivato oggi alla quota di 109 membri, centri di ricerca e aziende sostenuti da un finanziamento pubblico – offerto da governi entusiasti – di 70 miliardi di dollari.

Secondo il direttore esecutivo dell’Hydrogen council, Daryl Wilson, “la ricerca di energia dall’idrogeno è già responsabile del 20% del successo nel nostro viaggio verso la decarbonizzazione”.
Secondo lo studio fin qui citato, tutti i paesi del vecchio continente “scommettono sull’idrogeno e stanno prenotando miliardi di euro previsti dal Next generation Eu per investimenti in questo settore”.
La Spagna ha già stanziato di suo 1,5 miliardi di euro per la produzione nazionale di Idrogeno nel prossimo biennio, mentre il Portogallo vuole investire 186 miliardi del Recovery in progetti legati alla produzione di energia dall’idrogeno.

L’Italia avrà a disposizione 47 miliardi di euro da destinare alla “transizione ecologica”, un obiettivo ambizioso di cui il governo ha compreso l’importanza decidendo di istituire un dicastero con portafoglio ad essa dedicato.
Il nostro paese è ben preparato sul piano scientifico e produttivo per affrontare la sfida della “produzione di energia pulita con l’uso di energia pulita”.
Non solo siamo all’avanguardia nella produzione di strumenti di estrazione di energia dall’acqua del mare, come l’Iswec (Inertial sea waves energy converter), una macchina nata da una ricerca del Politecnico di Torino, che occupando solo 150 metri quadri di mare produce energia pulita in quantità e che da sola riduce le missioni di CO2 di 68 tonnellate l’anno, o il “pinguino”, uno strumento che collocato a 50 metri di profondità produce energia senza danni all’ecosistema marino, ma abbiamo a disposizione inventiva, cultura e coraggio per accompagnare la “svolta verde”.

È di questi giorni la notizia di un accordo tra l’International world group di Roma e la laziale Eldor corporation spa, volto a favorire, all’interno della cooperazione tra Europa e Cina nell’ambito della “Road and belt initiative”, progetti per la generazione di energia e la produzione di idrogeno dalle onde marine e da altre fonti di energia rinnovabile.
Un progetto che vedrà le aziende italiane, a partire dalla Eldor, operare in stretto collegamento con “National ocean technology centre” cinese di base a Shenzen per la costituzione di un polo internazionale di ricerca e di sviluppo mondiale nel campo della produzione di Idrogeno “verde” con l’uso di energie pulite.

Un processo che si inserisce in una strategia globale che, con il contributo dell’Italia, delle sue forze produttive e delle sue istituzioni, potrà aiutare il nostro paese, l’Europa e il resto del mondo, a risollevarsi da una crisi pandemica che, una volta risolta, potrà rappresentare, insieme alla rivoluzione digitale, l’innesco per una nuova rivoluzione industriale basata non più sul carbone o sul petrolio, ma sull’idrogeno cha da elemento più diffuso nell’universo si può trasformare nel motore di crescita di una nuova civiltà.

La rivoluzione dell’idrogeno. Un nuovo modello di sviluppo

È in corso una nuova fase per il nostro pianeta: quella che rende interdipendenti lo sviluppo tecnologico ed economico con la sostenibilità ambientale. In questa “grande trasformazione” dei nuovi modelli di sviluppo che si appoggino a risorse energetiche che promuovano la crescita attraverso l’utilizzo di strumenti in grado di operare in condizioni di equilibrio con l’ecosistema, l’idrogeno assume un ruolo primario

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