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Gli Stati Uniti hanno inviato un doppio messaggio di rassicurazione agli alleati mediorientali. Quasi contemporaneamente, il presidente Joe Biden ha avuto un colloquio telefonico con Re Salman d’Arabia Saudita e i cacciabombardieri F-15 americani hanno centrato le milizie sciite al confine tra Iraq e Siria.

L’attacco è stata una rappresaglia arrivata in risposta al bombardamento missilistico contro una base occidentale a Erbil, nel Kurdistan (usata dalla Coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico). In quell’occasione, dieci giorni fa, era stata superata una linea rossa: era rimasto ucciso un contractor civile (occidentale). L’azione era stata rivendicata da una milizia nota come i Guardiani del sangue, collegata alla più nota Kataib Hezbollah. Successivamente anche la Balad Air Base, poco fuori Baghdad, era stata colpita da razzi; e poi, per l’ennesima volta, anche l’ambasciata statunitense nella Green Zone della capitale.

“Sotto la direzione del presidente Biden, le forze militari statunitensi questa sera hanno condotto attacchi aerei (cinque, ndr) contro le infrastrutture utilizzate dai gruppi militanti sostenuti dall’Iran nella Siria orientale “, ha detto il portavoce in una dichiarazione. “Questi attacchi sono stati autorizzati in risposta ai recenti attacchi contro il personale americano e della coalizione in Iraq, e alle continue minacce a quel personale”, ha aggiunto.

A essere finite nei mirini dei cacciabombardieri sono stati almeno tre veicoli carichi di munizioni che tagliavano il confine Iraq-Siria nei pressi di Al Bukamal (da notare che è una zona in cui lo spazio aereo è controllato dalla Russia), più alcune abitazioni che nella zona facevano da nodi logistici. Secondo le informazioni disponibili sono stati uccisi 17 miliziani sciiti appartenenti ai gruppi Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada, entrambi collegati a doppio filo ai Pasdarsn.

Il messaggio è chiaro: sebbene l’amministrazione Biden sia intenzionata a rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano Jcpoa, gli Stati Uniti non tollereranno operazioni azzardate da parte delle strutture di Teheran, ma anzi le puniranno con l’azione militare, sempre sul tavolo nonostante un disimpegno strategico in corso dalle dinamiche della regione. È un input operativo e psicologico verso Teheran che contemporaneamente  rassicura alleati come Israele, che compie costantemente azioni simili per proteggersi dal rafforzamento delle milizie sciite che odiano lo stato ebraico — su tutti Hezbollah — facilitato dai Pasdaran, sfruttando il caotico scenario siriano.

È una rassicurazione anche agli alleati occidentali, su un impegno che resta attivo e costante, importante davanti al mini-surge Nato in Iraq. È un modo per tranquillizzare l’Arabia Saudita e gli altri partner del Golfo che vedono le volontà americane riguardo al Jcpoa e il minore coinvolgimento regionale come una questione esistenziale di indebolimento e di rafforzamento del nemico iraniano.

Garanzie del genere sono arrivate nella telefonata tra Biden e Salman, linea di interlocuzione ufficiale tra Washington e Riad, come esplicitamente riferito giorni fa dalla Casa Bianca. L’americano ha sottolineato l’alleanza storica tra i due Paesi, l’importanza di Riad nella regione e proprio “l’impegno degli Stati Uniti ad aiutare l’Arabia Saudita a difendere il suo territorio mentre affronta gli attacchi di gruppi allineati con l’Iran” — il riferimento è chiaramente agli Houthi yemeniti, contro cui i sauditi combattono da oltre cinque anni e che Biden ha tolto dalla lista dei terroristi. Questa chiamata è arrivata dopo oltre due mesi dall’insediamento, una tempistica anomala che fa comunque segnare il livello (bassino) di priorità che la nuova Casa Bianca dà al quadrante.

Il contatto con Re Salman, anticipato da quelli Washington-Riad tenuti da altre parti dell’amministrazione (come il Pentagono), arriva nei giorni in cui gli Stati Uniti rendono pubblico un report di intelligence che incolpa l’erede al trono Mohammed bin Salman di essere in qualche modo il mandante dell’omicidio del giornalista scomodo Jamal Khashoggi — ucciso tre anni fa nel consolato di Istanbul da una squadraccia dei servizi segreti sauditi inviata dal futuro sovrano con ordini precisi.

La questione è iper imbarazzante, ed è destinata a limare le capacità di interlocuzione internazionale dell’erede (molto proiettato finora, considerato da una parte della narrazione occidentale una sorta di futurista illuminato che rivoluzionerà il regno, su cui gli Usa alzeranno invece un warming in nome del rispetto dei diritti, motore dell’azione politica di Biden). A questa si aggiunga che l’amministrazione Biden ha annunciato di voler “ricalibrare” i rapporti con Riad, ha interrotto il suo coinvolgimento in Yemen, ha bloccato una commessa militare e appunto avviato i colloqui con l’Iran — dove i Pasdaran finanziano gli Houthi che colpiscono anche il territorio Saudita. A Riad (come a Tel Aviv) servono rassicurazioni.

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