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Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che anche se Iran e Stati Uniti dovessero tornare a conformarsi all’accordo nucleare, “centinaia” di sanzioni statunitensi su Teheran rimarrebbero comunque in vigore.

“Prevedo che anche in caso di ritorno alla conformità con il Jcpoa (l’accordo sul nucleare del 2015 da cui gli Usa erano usciti per volontà di Donald Trump, ndr), rimarranno in vigore centinaia di sanzioni”. Blinken ha specificato che si tratta anche di quelle “imposte dall’amministrazione Trump”. “Se non sono incompatibili con il Jcpoa, rimarranno a meno che, e fino a quando, l’Iran non dimostri cambiamenti di comportamento”, ha detto il segretario in audizione al Foreign Relations Committee del Senato.

L’amministrazione del democratico Joe Biden ha fin da subito fatto sapere che rientrare nel Jcpoa sarebbe stato un obiettivo di politica internazionale, ma allo stesso tempo ha fatto capire che non avrebbe bruciato le tappe. La questione è sempre stata di priorità: per Washington era prioritario mantenere un certo livello di pressione su quelle porzioni della teocrazia che ritengono invece necessario mantenere costante l’ingaggio contro gli Usa. Per il governo pragmatico-riformista, che tra pochi giorni si misurerà alle presidenziali con la capacità (scarsa) di sopravvivere al doppio mandato di Hassan Rouhani, la priorità era incassare velocemente (leggasi: prima del voto del 18 giugno) il rientro americano nell’accordo e l’eliminazione delle sanzioni.

Togliere le sanzioni sarebbe stata una boccata d’aria per la linea di governo — considerata ormai perdente davanti a un candidato conservatore lanciato verso il ruolo di Guida Suprema. Sarebbe stato il modo per continuare a difendere la necessità di accettare sì una limitazione nelle ambizioni atomiche, ma solo per ottenerne benefici economici da poter reinvestire nel Paese.

Gli Stati Uniti di Biden confermano linee politiche dell’amministrazione precedente dunque? In parte, sebbene con linguaggi diversi (quello che avviene sull’Iran ricalca la linea con la Cina, o quella sull’immigrazione). Due giorni fa, gli Usa hanno inviato pressioni all’Iran, chiedendo di consentire  all’agenzia atomica delle Nazioni Unite di continuare a monitorare le sue attività, come stabilito in un accordo che è stato prorogato fino al 24 giugno. In alternativa sarebbero stati messi a rischio i colloqui sul rilancio dell’accordo nucleare iraniano.

La Iaea e l’Iran hanno raggiunto a febbraio un’intesa di tre mesi per attutire il colpo della decisione di Teheran di ridurre la sua cooperazione con l’agenzia, ponendo fine alle misure di monitoraggio aggiuntive introdotte dall’accordo del 2015. In base a quell’intesa, che il 24 maggio è stata prorogata di un mese, i dati sulle attività continuano a essere raccolti in quella che Reuters definisce “una specie di scatola nera”, con l’Aiea in grado di accedervi solo in un secondo momento.

Il pressing è arrivato durante una riunione dell’agenzia, mentre nei giorni scorsi Washington aveva accettato — con i tre paesi europei del Jcpoa, Regno Unito, Germania e Francia — di non denunciare formalmente la presenza di uranio parzialmente arricchito travata in Iran. Così perché i colloqui indiretti tra Stati Uniti e Iran per ricomporre l’accordo dovrebbero riprendere a Vienna questa settimana.

Al di là dell’ottimismo, forse nemmeno stavolta sarà quella decisiva per il rientro degli Usa e il ritorno dell’Iran alla compliance. Che per altro, secondo quanto detto da Blinken, sarebbe un “primo passo, non un ultimo step”.

Se Blinken fa il trumpiano sull’Iran

Blinken conferma la linea dell’amministrazione Biden con l’Iran: non si bruceranno le tappe, e anche una ricomposizione del Jcpoa non significherà l’eliminazione completa delle sanzioni

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