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Venti giorni esatti separano il governo di Mario Draghi dalla fine di parte del blocco ai licenziamenti, una delle misure simbolo della lotta alla crisi sociale innescata dalla pandemia. Sul tavolo del governo c’è la proposta di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico, condivisa anche dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ovvero una proroga della moratoria fino a fine estate ma calibrata sui singoli settori. In altre parole, sì alla proroga ma solo per quei comparti ancora in crisi nera.

Ad oggi, la tabella di marcia verso la caduta del muro ai licenziamenti è questa: fino al 30 giugno rimarrà tutto così com’è, con la possibilità per le imprese di chiedere la Cassa Covid senza che scatti più la proroga automatica del divieto di licenziare fino al 28 agosto. Dunque dal primo luglio le aziende che usciranno dalla Cassa Covid non avranno più divieti automatici di licenziare, mentre le imprese ancora in difficoltà, potranno tornare ad accedere alla Cig ordinaria o straordinaria: solo per costoro si allungherà il divieto di licenziamento per tutta la durata in cui fruiranno della cassa integrazione.

Draghi, che non ha la bacchetta magica, vorrebbe la classica soluzione condivisa, magari dopo un confronto tra i partiti in parlamento, tenendo anche conto del pressing di Confindustria per un ritorno al mercato il prima possibile e dei malumori dell’Ue verso una misura considerata lesiva dei precari. Formiche.net ha chiesto il parere al capo dei metalmeccanici della Cisl, Roberto Benaglia.

Il governo a un bivio, tra licenziamenti selettivi e un blocco a tempo determinato ma più lungo. Dove sta il punto di caduta?

In primo luogo il governo deve riaprire il confronto con il sindacato, serve dialogo e responsabilità, questa polarizzazione di posizioni non serve a nessuno né alle imprese né al sindacato, anche da parte datoriale ci sono posizioni differenti sulla vicenda della fine del blocco dei licenziamenti.

Chiaro. Ma dunque?

Dopo l’annus horribilis della pandemia, dove abbiamo perso oltre un milione di posti di lavoro che molti fanno finta di non vedere, il Paese è lacerato c’è bisogno di serenità e fiducia nel futuro. I primi dati ci dicono che le cose stanno andando bene, il settore metalmeccanico a parte alcuni comparti come quello degli elettrodomestici, dell’automotive e degli appalti metalmeccanici del petrolchimico, sta crescendo in maniera sensibile, le posizioni estreme in questa fase non servono a nessuno né ai lavoratori né alle imprese: è evidente che ci sono settori, lo dice anche Banca d’Italia nel suo report che rischiano più di altri un numero elevato di licenziamenti per questo serve sedersi intorno ad un tavolo e trovare le soluzioni più idonee a evitare i licenziamenti.

Il governo punta nel mentre a una riforma degli ammortizzatori. Ma può bastare a evitare uno shock in caso di caduta del muro ai licenziamenti?

La riforma degli ammortizzatori va letta dentro una dinamica non emergenziale ma strutturale. Siamo in una fase di profondo cambiamento del mondo del lavoro, transizione green e digitale stanno profondamente cambiando il lavoro e la società. Come, ha giustamente detto l’economista Ocse Andrea Garnero in una recente intervista, il vero problema del lavoro nel nostro Paese non è tanto la mancanza ma il mismatch tra domanda e offerta. Serve affiancare alla riforma degli ammortizzatori un sistema robusto e funzionale di politiche attive del lavoro e ripensare il sistema formativo che sia funzionale al lavoro e alle persone.

Già, la formazione. La pandemia ha imposto delle esigenze nel mercato, non da poco…

Abbiamo la necessità che scuola e mondo del lavoro dialoghino sempre più. Gli Its (Istituti tecnici superiori, ndr) in questo senso sono un modello da integrare poi nel sistema con gli altri enti di formazione. In questa prospettiva la riforma degli ammortizzatori diventa utile a garantire che nessuno rimanga escluso.

Parliamo dell’Ilva e di un futuro ancora troppo incerto. Che chances e tempi dare allo stato imprenditore?

I problemi a Taranto si risolvono solo tenendo aperta l’acciaieria e facendo tutto quello che è necessario in termini di investimenti per rendere la produzione di acciaio sostenibile sul piano ambientale e sociale. La presenza dello Stato in questa ottica non va letta con le lenti del passato, ma con quelle di una nuova visione, quella del green new deal, dove lo Stato insieme all’Europa investono per la sostenibilità dei sistemi industriali.

Incombe, però, la giustizia…

La sentenza Ambiente svenduto di primo grado emessa dalla Corte di Assise del tribunale di Taranto, individua precise responsabilità legate al disastro ambientale e alla dolosa mancanza di tutele sanitarie per i cittadini e per chi ha lavorato nel polo siderurgico della città. Si tratta di una pagina negativa del modo di fare industria che ha contrastato non solo con il bene comune e gli interessi della collettività, ma addirittura con il rispetto delle norme sanitarie e di legge. Ma vediamo con forte preoccupazione la confisca degli impianti disposta dalla magistratura. Questo per dire che le colpe del passato non devono ricadere sul futuro di Acciaierie d’Italia e del lavoro del polo siderurgico. Tenere tante spade di Damocle sulla testa del polo siderurgico non aiuta a risolvere i nodi critici da cui passa la necessità di produrre acciaio verde nel prossimo futuro.

 

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