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Un tempo si parlava di convergenze parallele, ossia il percorso non sempre facile per arrivare ai primi governi di centro sinistra, ora ci sono le convergenze obbligatorie. Infatti, come scritto su questa testata, il presidente del Consiglio Mario Draghi non solo ha affidato le grane ai ministri provenienti da partiti politici (e forse anche da essi indicati) ma li ha organizzati a coppie in modo che ogni grana vada risolta da esponenti di forze politiche che per più di un decennio hanno litigato.

Le prime grosse grane riguardano la politica sanitaria e la politica industriale. La sanità di fatto nelle mani del ministro della Salute Roberto Speranza e dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Maria Stella Gelmini, compito tanto più importante in quanto le Regioni, le più importanti delle quali sono governate dal centro-destra, hanno compiti operativi mentre, in base alla riforma del Titolo Quinto della Costituzione del 2001, ha compiti di indirizzo. Analogamente, la politica industriale – ore costellata soprattutto da crisi, è nelle mani del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ma anche del ministro del Lavoro Andrea Orlando, il quale gestisce gli ammortizzatori sociali.

Andiamo, innanzitutto, alla sanità. Le Regioni chiedono una differente definizione delle varie fasce (bianco, giallo, arancione, rosso) per l’apertura e chiusura delle attività, una maggiore partecipazione di loro esperti al Comitato Tecnico Scientifico, una più spedita campagna di vaccinazione.

C’è anche un coro a cappella per la rimozione del commissario straordinario all’emergenza, i cui compiti sono stati già notevolmente ridimensionati. Ed è probabile che venga definita una strada comune per la campagna vaccinale che verrebbe affidata in toto alla Protezione Civile. Prevedendo anche un’operazione di 24 ore su 24 non appena ci siano abbastanza dosi disponibili.

L’utilizzo di canali ordinari, non straordinari sarebbe anche auspicata da Palazzo Chigi, dove si registra stanchezza per le polemiche che occupano pagine di cronaca sulla stampa quotidiana. Immediate anche le questioni di politica industriale. L’Alitalia non ha i soldi in cassa per pagare gli stipendi ai dipendenti il 27 febbraio. Arduo pensare a un ulteriore salvataggio a spese dei contribuenti dato che codesti hanno già pagato 12 miliardi e 615 milioni, ossia 210 euro a testa per ogni italiano, neonati compresi.

Tanto il presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico quanto il Commissario europeo Valdis Dombrovskis sono stati chiarissimi: aiuti ad aziende che promettono di essere campioni dopo la fine della crisi dovuta alla pandemia.
Significa anche una forte ristrutturazione dell’ex Ilva di Taranto, che ha già ricevuto notevolissimi aiuti pubblici (per parte dei quali la Commissione europea ha chiesto formalmente una restituzione) sia per la riconversione ambientale, sia per esodi, pre-pensionamenti e cassa integrazione in deroga. Ora ai travagli dell’impianto si è aggiunta una nuova vertenza giudiziaria.

Ciò non vuole necessariamente dire chiudere Alitalia e l’ex Ilva, ma ridurne drasticamente le dimensioni (e il numero degli addetti) per far sì che i conti sia della prima, sia della seconda quadrino. Ciò vuole dire un impiego intenso ed esteso degli ammortizzatori sociali anche di quel reddito di cittadinanza il cui impiego è oggetto di forti critiche anche sulla stampa internazionale. Prima dell’intesa con il Movimento Cinque Stelle (M5S), il ministro del Lavoro in carica è stato uno dei critici più rigorosi del reddito di cittadinanza.

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