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Francesca Serafini non è solo una scrittrice bravissima (recuperate il suo “Di calcio non si parla”, Bompiani); è anche una fotografa della realtà, un’amante dell’immaginazione, una maestra delle parole. Quello che scrive è quello che pensa, e quello che pensa è molto spesso straordinario. Con Giordano Meacci, ha lavorato a uno dei film più belli degli ultimi anni (“Non essere cattivo” di Claudio Caligari); e sempre con Meacci, ha ridato vita a De André, gli ha dato una nuova forma e una nuova sostanza. Serafini non ha paura di mettere in pausa quello che sta dicendo, quello che sta raccontando; sa aspettare.

In “Tre madri”, edito da La Nave di Teseo, riesce a costruire un racconto fatto di più piani, di più voci e di più momenti. Quello della finzione, della narrazione vera e proprio, con una protagonista bellissima, viva, di carne e inchiostro. E quello metanarrativo, che va oltre, che parla direttamente al lettore e che suggerisce dettagli, punti di vista e che dà altro materiale su cui lavorare. Perché leggere significa anche questo: unire i puntini lasciati da chi scrive, trovare le domande e darsi delle risposte; conoscere i personaggi, giudicarli se serve, e innamorarsene se ne vale la pena. Con Lisa Mancini ne vale la pena.

È una donna con le sue ossessioni, con le sue convinzioni, con l’incredibile capacità che hanno i grandi investigatori di andare oltre il materiale, di scorgere l’imperscrutabile e di non lasciarsi convincere da niente, nemmeno – forse soprattutto – dall’evidenza. In “Tre madri” si respira la stessa atmosfera che si respira leggendo certi romanzi gialli o guardando alcune serie tv (come “Broadchurch” o “Happy Valley”, che Serafini cita senza problemi); e allo stesso tempo si trova un aggancio importante, concreto, con l’attualità della vita.

Lisa Mancini è la commissaria di un paese unico e generalissimo, un paese che ha la sua vita, i suoi personaggi, le sue voci, e che però potrebbe trovarsi anche altrove, in un altro tempo e in un’altra Italia, e avere comunque qualcosa di sensazionale. Lisa Mancini ha già vissuto mille vite, e ora ne sta vivendo un’altra. Ha lasciato tutto e ha deciso di ricominciare. La tormenta una domanda: “vuoi davvero arrenderti?”. E questa tensione, questa sostanza delle cose, del passato e dei ricordi, Serafini riesce a raccontarla meravigliosamente.

“Tre madri” ha un peso specifico importante, regge, conquista: non cerca la via più facile; non nasconde la normalità sotto montagne di un’autorialità pretenziosa e autocompiaciuta. L’essenza stessa dell’essere umano, dopotutto, passa dalla nostra abilità – sissignore – di sbagliare. Sono proprio gli errori quelli che rendono le storie universali. Quelli e i sentimenti. Serafini, in “Tre madri”, miscela le due cose, le unisce, le mischia. Il caso, in un certo senso, rimane in secondo piano: c’è una scomparsa, c’è un ragazzo con i suoi sogni e le sue passioni (De André, anche qui), e ci sono delle indagini. Ma in primo piano restano i personaggi, le loro particolarità, e la loro unicità.

Il segreto di un buon racconto, a volte, coincide con i particolari e i dettagli. Per rapire un lettore, bisogna parlargli in una lingua conosciuta e familiare, e contemporaneamente aliena e musicale. Serafini non gira attorno alle cose. Le mostra vividamente, come immagini, come piccole istantanee. Ma riesce pure a renderle più belle, più dense, a dare un odore e un sapore alle cose e alle persone.

Ogni tanto è in grado addirittura di evocare i colori e le sfumature, di dare una profondità precisa ai luoghi. Dai movimenti che certi comprimari compiono, se ne intuiscono le idee, il carattere, l’infanzia. E poi quando tutto diventa chiaro, quando Serafini sostituisce la verità al sospetto, quando il caso giunge a una svolta, e Lisa Mancini ritrova il suo elemento e la sua anima di cacciatrice, “Tre madri” diventa totalizzante, enorme, saporitissimo.

Lo straordinario “Tre madri” di Francesca Serafini, un'ossessione che rapisce il lettore

Di Gianmaria Tammaro

Francesca Serafini ha lavorato a uno dei film più belli degli ultimi anni (“Non essere cattivo” di Claudio Caligari) e ha ridato vita a De André (“Principe Libero”, Rai1). In “Tre Madri” (La Nave di Teseo) costruisce un romanzo in grado di evocare i colori e le sfumature, di dare una profondità precisa ai luoghi. E poi quando tutto diventa chiaro, quando il caso giunge a una svolta…

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