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Secondo l’Istat quest’anno, nel periodo febbraio-novembre 2020, si sono registrati 83.985 decessi in più rispetto alla media degli anni precedenti, 2015-2019, di cui 57.647 attribuiti alla pandemia. Questo significa che circa il 30% dei maggiori decessi non sono stati attribuiti esplicitamente al Covid-19, anche se probabilmente sono da associare in parte o in toto alla emergenza sanitaria. Se utilizziamo questi numeri per riproporzionare il dato della mortalità attuale attribuito alla pandemia (83.157 al 18 gennaio 2021), otteniamo un dato in eccesso di 108.000 morti, che si avvia a crescere a qualcosa intorno ai 115.000 morti per il periodo febbraio 2020-gennaio 2021.

Questi numeri, in se stessi drammatici, aggiungono una dimensione catastrofica alla situazione economica attuale. Utilizzando il criterio del valore statistico delle vite umane (Value of Statistical Life o VoSL), infatti, e le stime di uno studio recente del Cnr per l’Italia, otteniamo una perdita complessiva di circa 300 miliardi di euro. Questo valore quantifica, allo stesso tempo, la perdita di capitale umano subita dal Paese e il livello di rischio della emergenza sanitaria in cui ci troviamo nonché della disponibilità a pagare collettiva per le misure che si dovrebbero mettere in campo per arginarne gli effetti.

A fronte di queste cifre, peraltro ancora in crescita costante, che ci collocano in vetta della graduatoria dei Paesi più colpiti dalla pandemia, gli strumenti tradizionali della politica economica sono chiaramente inadeguati, come inadeguate appaiono le misure intraprese finora dal governo. La emergenza sanitaria, infatti, sembra scavare profondamente nelle inefficienze del Belpaese mettendone a nudo le inadeguatezze della governance tradizionale e, allo stesso tempo la incapacità di superarle con azioni straordinarie del governo e dell’amministrazione pubblica.

Quali sono gli elementi della crisi sanitaria che appaiono in misura maggiore sfuggire all’azione di governo? In primo luogo, non sembra esservi alcuna governance sanitaria di processi di mitigazione ed adattamento alla pandemia. Il consiglio degli esperti è limitato alle restrizioni comportamentali imposte alla popolazione, ma non sembra riguardare i comportamenti e i protocolli del sistema sanitario nel suo complesso. In larga misura quest’ultimo è lasciato alla gestione delle Regioni e delle strutture amministrative ordinarie, secondo protocolli che variano nel tempo e nello spazio e non sembrano rispondere se non retoricamente a criteri comuni di efficienza ed efficacia. Il monitoraggio dei risultati e la valutazione economica degli interventi medici, epidemiologici, e preventivi, dal dispiegamento di risorse alla analisi degli effetti sono limitati ai bollettini quotidiani dei contagi e dei decessi. Questi ultimi sono organizzati in modo da fornire informazioni eterogenee e statisticamente inaccurate, difficili da interpretare e impossibili da analizzare con metodi quantitativi adeguati.

In secondo luogo, il piano vaccinale appare essere stato pianificato senza una adeguata riserva logistica rispetto agli imprevisti e gli inevitabili ostacoli derivanti dagli approvvigionamenti, le difficoltà di conservazione e di distribuzione, la eterogeneità e l’attendibilità delle fonti. La stessa programmazione temporale delle vaccinazioni sembra seguire una logica fai-da-te per cui le strutture regionali sembrano competere nella velocità di esecuzione, senza riguardo ai criteri di distribuzione tra le categorie a rischio, la suscettibilità ad effetti secondari ed altri parametri medici e socioeconomici.

La verità è che senza una programmazione più cogente ed efficace, il piano di vaccinazione rischia di rivelarsi un’arma spuntata. Al ritmo attuale, infatti, anche tenendo conto dei ritardi già registrati nelle consegne dei vaccini e della legge di Murphy (“tutto quello che potrà andare storto, lo farà nel momento peggiore possibile” ) non sarà mai possibile raggiungere la cosiddetta immunità di gregge, poiché mano a mano che i vaccinati superano la soglia del 60-70% della popolazione, una quota di essi perde l’immunità a causa della durata limitata di quest’ultima quando derivata dai vaccini disponibili (9 mesi o meno per quanto ne sappiamo finora).

In terzo luogo, le bozze del piano del governo per i fondi straordinari assicurati dall’Europa (il c.d. Pnnr) circolate finora, pur nel tentativo di coltivare una visione trasformativa della società e della economia, appaiono sottovalutare in modo spettacolare la emergenza sanitaria. Le due linee di intervento del settore, infatti, da una parte riecheggiano generiche proposte di riforma basate su una rete territoriale di maggiore prossimità ai malati e alle loro famiglie.

Dall’altra parte si affidano a vaghe promesse tecnologiche come la telemedicina e gli strumenti digitali (per esempio, la mitica cartella clinica elettronica). La drammatica inadeguatezza della rete attuale di servizi in termini di capitale umano e sociale è del tutto ignorata. Di conseguenza, anche il dimensionamento tentativo degli interventi appare incongruo, sia per quantità, sia per qualità delle proposte e dei progetti prefigurati. La bozza di piano ignora l’emergenza attuale, come se questa potesse essere messa tra parentesi e non fosse essa stessa, almeno in parte, il risultato della inadeguatezza del nostro sistema sanitario, della inefficacia delle misure di prevenzione, della dipendenza dei malati cronici dalle cure ospedaliere e della mancanza di prossimità tra le strutture mediche e i malati.

Ritornando alla legge di Murphy, sono stati individuati cinque fattori che ne determinano la universale rilevanza per qualunque evento o azione. Questi fattori sono: l’urgenza, la complessità, l’importanza, l’abilità e la frequenza, tutti presenti nell’attuale situazione critica della pandemia nel nostro Paese. Essi dovrebbero essere alla base di un intervento programmato sulla sanità che affronti immediatamente con il coraggio e la determinazione oggi assenti, l’emergenza sanitaria. Questo programma dovrebbe essere basato su uno sforzo straordinario di mitigazione della pandemia attraverso una campagna vaccinale senza soste e senza imprevisti, capace di portare il paese fuori dal guado sanitario nei prossimi sei mesi, utilizzando immediatamente tutte le risorse necessarie.

Questo sforzo ha bisogno di risorse non solo finanziarie, ma anche umane e sociali, che includano un impegno corale di governo e amministrazioni che fino ad ora è mancato. Esso richiede un piano di approvvigionamento e distribuzione di vaccini a prova di bomba, con abbondanti riserve logistiche e mediche, basato su una robusta rete territoriale di approvvigionamenti e una adeguata ridondanza degli strumenti di offerta, distribuzione e somministrazione. Esso richiede altresì un salto di qualità nell’assistenza medica e sanitaria in termini di inclusione territoriale e di capacità di raggiungere i gruppi più vulnerabili della popolazione, prefigurando proprio quella sanità di prossimità che nel Pnrr attuale appare solo un miraggio sfocato.

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