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“Con che coscienza la gente salta la fila? – dice il presidente del Consiglio. Perché, si stupisce, un 35enne non può pensare di prendere la dose di vaccino a chi dal Covid rischia di essere ucciso, le persone fragili o over 75” (Ansa, 9.4.21).

Fa molto pensare questa domanda del presidente Draghi: “con che coscienza?”. Molto in sintonia con i diversi richiami del presidente Mattarella al senso di responsabilità. Del resto, la coscienza, è la responsabilità delle proprie azioni. E qui l’elenco è lungo. Sono i mali etici italici.

Con che coscienza si salta la fila, non si pagano le tasse, si vive nell’illegalità, si partecipa o favorisce fenomeni di corruzione o criminalità organizzata, si pensa al bene individuale, si ruba, si fa carriera senza meritarla, si specula sulla salute, si uccide, si violenta e si abusa di donne, di deboli e di piccoli… Lunga lista, unica domanda: con che coscienza?

Risposta semplice: con una coscienza che non c’è, in diversi, e che dobbiamo ri-costruire perché la rinascita del Paese non sia solo economica ma anche morale. Ma non dobbiamo guardare solo avanti, dopo anche riflettere un po’ sul passato, remoto e recente, che ha accresciuto atteggiamenti incoscienti.

Mi riferisco alle responsabilità delle agenzie educative, tutte e nessuna esclusa: famiglia, scuola, università, partiti, associazionismo, comunità di credenti, volontariato. Hanno educato seriamente e costantemente ad avere coscienza, ad rispondere del proprio agire?

In questo discorso mi permetto di far notare che esiste un vulnus teorico che annulla o indebolisce la formazione delle coscienze, di piccoli e grandi. Questo vulnus ha un nome: Nicolò Machiavelli. L’autore fiorentino non ha mai affermato direttamente l’errato principio del fine che giustifica i mezzi. Tuttavia la sua teoria etica non potrebbe essere sintetizzata meglio se non con questa affermazione, che è un invito ad abbandonare quello che si dovrebbe essere (etica) per seguire quello che è (realismo politico).

Il Machiavelli ha avuto più successo di quello che meritava, tanto da riscontrare un gran numero di suoi seguaci, che una volta fissata la loro finalità negativa (potere, denaro, carriera e privilegi) sono disposti a tutto e giustificano tutto pur di raggiungere il fine perverso: dalle file per la vaccinazione alle tangenti, dalla promozione di carriera al ruolo politico, dai privilegi ai propri figli a… i sacramenti in parrocchia. Lunghissima lista.

Medesimo problema: un pressante invito ad abbandonare qualsiasi finalità nobile, cioè relativa al dover essere, mentre conviene concentrarsi sulla prassi, sul suo spietato realismo, sul “cos’ fan tutti”. Il Principe inaugura, in sede teorica, l’autonomia della politica dall’etica, cioè l’inizio del pensiero politico moderno: un’elastica e costante rielaborazione dei precetti etici, allorché il comandamento della conservazione del potere (e oggi diremmo anche di carriera e denaro) lo esige o sembra esigerlo.

Con che coscienza? Con quella di Machiavelli, a cui ci siamo cosi tanto abituati da citare, con spavalderia e convinzione che “il fine giustifica i mezzi”. Ai pochi educati e virtuosi la frase crea irritazione perché il fine “specifica i mezzi”, quindi mezzi buoni per fini buoni e mezzi cattivi per fini cattivi.

Era ciò che Aristotele aveva insegnato un dì e che Machiavelli aveva poi negato e, dopo di lui, diversi italiani: il fine (télos) di ogni persona come di ogni comunità politica è il bene (agathón) o, anche detto altrove, la felicità (eudaimonía). Il bene, a cui si tende, è il fine (télos) della vita, è la beatitudine, è anche la prosperità. Questo bene-felicità può essere raggiunto da chi vive secondo ragione realizzando le virtù, cioè un compiere costantemente il bene.

Non sarà solo il vaccino a contenere e sconfiggere il virus, ci vuole una coscienza sana e motivata. Altrimenti al disastro sanitario ed economico aggiungere anche quello morale, ugualmente grave.

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La rinascita del Paese non può e non deve essere solo economica, ma anche morale. Tuttavia, è dai tempi del Principe di Machiavelli che è iniziata in sede teorica, l’autonomia della politica dall’etica, cioè l’inizio del pensiero politico moderno. L’analisi di Rocco D’Ambrosio, professore ordinario di Filosofia Politica presso la Pontificia Università Gregoriana

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