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In attesa di scegliere se restare movimento o divenire Partito, i Cinque Stelle sono oggi una nave che fa acqua da tutte le parti ed è in balia delle onde. La confusione è totale e i nodi sembrano che si siano intrecciati così tanto da essere divenuti inestricabili. Non c’è un collante ideale che tenga unito i gruppi parlamentari, che, pur ampiamente sfoltitisi in questi tre anni di legislatura, sono ancora i più numerosi in ognuna delle due Camere. E, man mano che il tempo passa e ci si avvicina alla scadenza, a quel che pare è che non ci siano nemmeno più interessi pratici comuni a tenere insieme la truppa.

Ogni deputato, inutile nasconderselo, pensa ora prima di tutto alla propria salvezza personale. Il che proprio facile non è per tanti motivi, non ultimo lo sfoltimento della rappresentanza da loro stessi voluta e attuata. È in questo orizzonte che si staglia l’incarico conferito a Giuseppe Conte dal garante, quel Beppe Grillo che è ormi l’unico padrone della storia e del simbolo del movimento mai divenuto partito. Una vera e propria investitura dall’alto, una cooptazione, in barba al mito della “democrazia diretta”. Ma che Conte, uomo di governo e non passato mai per la politica, fosse in grado di compiere il miracolo di far resuscitare una creatura (anti)politica implosa proprio alla prova del governo, era qualcosa che generava ai più accorti non poche perplessità e dubbi. Così come l’idea di darsi un’ideologia verde: non perché in teoria essa non sarebbe potuta essere anche una buona idea politica, soprattutto alla prova di quel che succede in Germania e un po’ ovunque in Europa coi partiti verdi in rapida ascesa, ma perché è subito sembrata frettolosa e posticcia, e non si sono visti molta convinzione e pathos nell’abbracciarla da parte dei dirigenti.

Ma tant’è! E ad aggiungersi a tutto questo bel casino politico, sono intervenute pure le grane economiche e giudiziarie. Con un Davide Casaleggio in rotta di collisione, che non sopporta la leadership di Grillo né la sua svolta “istituzionale”. Intanto, ciò che era stato solennemente deliberato, cioè l’elezione di un comitato direttivo con pieni poteri, è restato sospeso in aria e anzi ha addirittura perso di significato dopo l’autocratica investitura di Conte. In ogni caso, essa dovrebbe passare per una votazione su Rousseau, con Casaleggio che però pretende per continuare il servizio ad avere gli arretrati che gli spettano secondo gli accordi pregressi. In questo caos assoluto, Conte sembrerebbe aver preso la decisione di sciogliere i nodi nell’unico modo possibile, con la forbice. Da qui l’idea di creare una nuova struttura, con un nuovo statuto e una nuova Carta dei valori (a cui starebbe lavorando), tenendo la vecchia come una sorta di bad company da accompagnare al fallimento.

Ma, se anche Grillo lo seguisse fino in fondo in questa idea, è da chiedersi: ci sarebbe ancora un legame con i vecchi Cinque Stelle? Non sarebbe un altro modo di attestarne non solo il fallimento ma la liquidazione, senza che in pratica nessuno dei propositi postisi all’inizio sia stato realizzato nonostante il vasto suffragio ottenuto? E i deputati, senza garanzie, seguirebbero Conte? E che garanzie Conte può dar loro per il futuro? Considerato che anche i nomi degli iscritti e il resto è nelle mani di Casaleggio, il nuovo partito, vergine, sarebbe proprio il “partito di Conte” alla fin dei conti. Quel che resterebbe, a quanto è dato capire, sarebbe una sorta di post-ideologia, un partito “Né di destra né di sinistra”, per dichiarazione dell’ex premier, ma con forte propensione, direi, anche ad essere “né carne, né pesce”. Curvato al centro, sia per naturale vocazione contiana sia per pescare come al solito voti un po’ ovunque.

Avrebbe per gli elettori un qualche appeal un partito siffatto, o sarebbe un nuovo ricettacolo di ambiguità e trasformismi? La quadra del cerchio sembra impossibile, anche se c’è un elemento che io non sottovaluterei fra tante incognite. Chi infatti non sembra scomporsi più di tanto in questa situazione, interessato a costruirsi la sua figura di uomo delle istituzioni e dell’apparato, è Luigi Di Maio (e pensare che solo un paio di anni fa andava in giro con il suo amico Di Battista alla ricerca di Gilet Verdi in Francia!). Avendo contezza dello stato dei fatti, se ne è praticamente tirato fuori. E si è legato a quel Mario Draghi che, più che sulla gestione della pandemia o anche su quella economica, sembra voler lasciare traccia soprattutto sulla politica estera che da tempo l’Italia più non ha (e che per una potenza medio-piccola, ma geograficamente importante, come la nostra è vitale).

Quello che con il governo Conte era un ministero importante ma non in primo piano, rischia di diventare presto centrale in tutti i sensi. E di Maio sembra quasi voler giocare questa carta, mentre gli altri si sfiancano in sfide intestine o a immaginare futuri (im)possibili. Chissà cosa ne verrà fuori da tutto questo?

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Conte sembrerebbe aver preso la decisione di sciogliere i nodi di M5S nell’unico modo possibile, con la forbice. Da qui l’idea di creare una nuova struttura, con un nuovo statuto e una nuova Carta dei valori, tenendo la vecchia come una sorta di bad company da accompagnare al fallimento. Ma, se anche Grillo lo seguisse fino in fondo in questa idea, è da chiedersi: ci sarebbe ancora un legame con i vecchi Cinque Stelle? La bussola di Corrado Ocone

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