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Il nuovo segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken, ha fatto passare poco più di una settimana dall’inizio ufficiale dei lavori dell’amministrazione Biden per prendere una posizione chiara su uno dei dossier centrali nel confronto globale con la Cina: il Mar Cinese. Con l’occasione di una telefonata all’omologo filippino ha respinto le rivendicazioni marittime di Pechino nel tratto meridionale del bacino casalingo e ha confermato che gli Stati Uniti restano schierati con le nazioni del Sudest asiatico che “resistono alla pressione della Cina”.

Certe telefonata in questi giorni mappano il perimetro e l’agenda di interessi e priorità statunitensi, per questo la chiamata a Manila (tra i primi partner contattati da Washington) conferma che il dossier Mar Cinese resta prioritario per la Washington di Joe Biden, così come il quadrante strategico dell’Indo-Pacifico all’interno di cui si muovono certe dinamiche. E dunque conferma ancora che per la presidenza del democratico la questione Cina è centrale, e verrà affrontata — sebbene con più garbo diplomatico — seguendo la traiettoria tracciata dai predecessori.

Il 13 luglio dello scorso anno, l’allora segretario di Stato, il vettore internazionale del trumpismo Mike Pompeo, fu protagonista di una delle più severe prese di posizione americane sul dossier Mar Cinese. In sostanza respinse qualsiasi genere di ambizione del Partito/Stato su quelle acque contese, contestandole una a una secondo i termini del diritto internazionale. In pratica è quello che ha fatto Blinken al telefono con il collega filippino.

Val la pena anche non sottovalutare un aspetto che fa da sfondo alle parole diel segretario di Biden e rende la telefonata a Manila ancora più rilevante, perché operativa. Mercoledì le Filippine hanno presentato una protesta diplomatica per l’approvazione da parte di Pechino di una legge che consente alla guardia costiera cinese di aprire il fuoco su navi straniere, descrivendole come una “minaccia di guerra”.

La scorsa settimana il governo cinese ha approvato una normativa che consente alle motovedette che si trovano nel Mar Cinese — e fanno sponda tra gli isolotti occupati e militarizzati negli anni da Pechino — di utilizzare “tutti i mezzi necessari” contro le attività “straniere”, inclusa la demolizione di strutture di altri paesi costruite sulle barriere coralline rivendicate dai cinesi.

Si tratta di una mossa che spinge notevolmente l’egemonizzazione pensata dal Partito/Stato, perché quelle acque sono oggetto di una contesa internazionale su cui la Cina non ha diritti assoluti, sebbene rivendica quasi tutto il Mar Cinese Meridionale. Che è ricco di energia; che è un’importante rotta commerciale; che è un bacino interno in cui la Cina non può non giocare mosse da potenza contro paesi minori come Filippine, Brunei, Vietnam, Malesia e Taiwan.

(Foto: Twitter, @INDOPACOM, la USS Roosevelt nell’Indo-Pacifico )

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