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Dopo l’ascesa, la caduta. Continuano gli sforzi del governo cinese (e del Partito comunista) per fermare Jack Ma, il magnate cinese fondatore di Ant e di Alibaba, accusato di mettere in ombra perfino il presidente Xi Jinping. Nei giorni scorsi su Formiche.net raccontavamo come lo Stato cinese non si stia accontentando dell’indagine antitrust, puntando adesso a entrare nelle sue società. Una stretta economica e tecnologica sulla (già limitata) libertà di fare impresa che potrebbe spaventare gli investitori stranieri e pure l’Unione europea, commentavamo con riferimento al recente accordi tra Unione europea e Cina sugli investimenti.

Oggi è il Financial Times a occuparsi, con una delle sue Big read, della sfida tra l’imprenditore e quello che il Wall Street Journal definiva il “più potente leader nella recente storia cinese”. Fino a poco tempo fa, scriveva il quotidiano finanziario newyorchese commentando le mire di Pechino verso le aziende di Jack Ma (che non appare in pubblico dal 24 ottobre), il controllo burocratico sulle attività del tycoon era “relativamente leggero”. Ora, però, le sue società “sono arrivate a sfidare il dominio del settore statale in settori come banche e gestione del denaro”. Così il governo ha deciso di metterlo nel mirino.

Il quotidiano della City oggi spiega che in caso di mosse contro Ant e Alibaba da parte delle autorità di regolamentazione o di indagini su Jack Ma, verrebbe alla luce un nuovo rapporto tra il Partito comunista cinese (di cui il magnate “ironicamente” è membro) e il settore privato. Da quando Deng Xiaoping ha lanciato l’era delle riforme e delle aperture 40 anni fa, scrive il Financial Times, “il partito è diventato sempre più dipendente dalle società del settore privato per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e le entrate fiscali. Ma la fissazione del Partito per il controllo, soprattutto da quando Xi è salito al potere quasi un decennio fa, innesca anche periodiche repressioni del settore e di importanti imprenditori”.

Tuttavia, c’è un’ipotesi alternativa allo scontro frontale, meno radicale: “Le indagini su Ant e Alibaba potrebbero portare ad accordi simili a quelli raggiunti negli Stati Uniti e nell’Unione europea sui grandi gruppi finanziari e tecnologici. Ciò lascerebbe le due società di punta di Ma ‘umiliate’ ma ancora campioni nazionali formidabili e altamente redditizi”. Sarebbe comunque un “segnale politico forte”, scrive il Financial Times citando Chen Long della società di consulenza cinese Plenum, secondo con cui l’obiettivo della leadership è assicurarsi che “né Ma né nessun altro oltrepassino mai la linea rossa del tentativo di esercitare nuovamente un’influenza personale sulle politiche del governo — almeno non pubblicamente”.

Il leader non si discute, è questa la linea di Pechino. Basti pensare che, racconta sempre il Financial Times, il presidente Xi non vede di buon occhio il magnate Ma, che “in qualità di imprenditore privato di maggior successo in Cina, (…) gode di uno status unico in Cina e all’estero. Il suo inglese fluente lo ha reso una celebrità nel circuito delle conferenze internazionali”. Tanto che alcuni leader internazionali ospiti del G20 di Hangzhou nel 2016 — tra cui il presidente indonesiano Joko Widodo, il primo ministro canadese Justin Trudeau e l’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi — andarono a fargli visita. Una scelta che infastidì molto il presidente Xi, come hanno raccontato al quotidiano londinese un diplomatico e altre persone che parteciparono all’evento.

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Il governo cinese aumenta la pressione su Jack Ma, fondatore di Alibaba e Ant. L’obiettivo è evitare che oscuri il leader Xi (come già accaduto nel 2016 con la visita di Renzi e Trudeau). Ecco perché il duello interessa anche noi

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