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Se è vero che il governo Draghi, momentaneamente, può contare sul 60% del gradimento da parte degli italiani, è altrettanto vero che tra i partner dell’esecutivo non solo non corre buon sangue, ma per una delle principali forze politiche è in corso una crisi profonda e marcata. Facile capire che stiamo parlando del Movimento 5 Stelle. Un movimento “profondamente segnato dalla cacciata dei quindici senatori che non hanno votato la fiducia”. Parola di Giovanni Orsina, storico e direttore della School of Government alla Luiss.

Professore, il Movimento 5 Stelle, alleggerito dall’uscita dell’ala oltranzista, può completare la trasformazione in partito?

Quella dei quindici transfughi che hanno deciso di non appoggiare l’esecutivo è solamente l’ultima tappa di un lungo percorso, ancorché molto dolorosa. Ricordiamoci però che i 5 Stelle stanno normalizzandosi da tempo, reinventandosi come partito di sistema.

Come?

Dall’appoggio al Conte uno fino al sostegno del governo con quello che un tempo era definito “partito di Bibbiano”. Al netto di alcuni punti programmatici che comunque sono riusciti a portare a casa, come il taglio dei parlamentari, abbiamo assistito in questi anni a una progressiva perdita di identità da parte del Movimento. La mia impressione, nonostante il voto a Draghi, è che difficilmente si arriverà a una connotazione prettamente partitica del Movimento: c’è una fragilità interna, strutturale e originaria, che impedisce di completare questo percorso.

Con la svolta ‘green’ di Beppe Grillo i 5 Stelle potranno costruirsi una nuova credibilità anche nello scenario internazionale?

Ormai il tema dell’ambiente è del tutto trasversale. La dimostrazione plastica è il discorso che ha fatto il premier Mario Draghi. Penso che comunque anche in Europa occorra presentarsi con un profilo omogeneo e un’azione politica chiara. È su questo terreno che il Movimento fatica ad essere affidabile.

Uscito dalla porta, rientrato dalla finestra. C’è uno spettro che si aggira per il parlamento: Giuseppe Conte. O meglio il suo partito. Che per l’occorrenza ha assunto le sembianze dell’intergruppo Leu-Pd- 5 Stelle. Questo nuovo rassemblement potrà rappresentare una minaccia per il Movimento e per la tenuta dell’esecutivo?

A mio giudizio a questo punto al Movimento converrebbe scegliersi Giuseppe Conte come leader. Completerebbe così la propria “normalizzazione”. Il vero problema per Conte, d’altro canto, è restare visibile. Dal momento che ragionevolmente non si andrà a votare prima di un anno, all’ex premier serve non sparire dai radar. Gli italiani, affinché possa riscuotere ancora successo, lo devono vedere. E comunque, resta sempre il problema dell’identità.

Cioè?

Se Conte diventasse il leader dei 5 Stelle, il Movimento dovrebbe comunque riorientarsi del tutto rispetto ai presupposti iniziali sui quali ha costruito il consenso. E di direzioni non ce ne sono molte.

Quanto durerà, alla luce di questi presupposti, il Governo Draghi? E, secondo lei, chi potrebbe staccare la spina per primo?

Staccare la spina al governo Draghi sarà difficilissimo. Durerà almeno fino alle elezioni del Capo dello Stato, anche perché la situazione emergenziale sembra protrarsi e comunque va portata a compimento la stesura di un Recovery Plan degno di questo nome. Fra due o tre mesi, inevitabilmente, la luna di miele terminerà. Il governo dovrà usare questa finestra per portare avanti provvedimenti efficaci e popolari che possano proiettarlo al di là della fase iniziale. Ma il dubbio resta. Chi si prenderà a quel punto la responsabilità di aprire una crisi?

La Lega che ruolo ha secondo lei nella compagine governativa?

Nonostante il calo degli ultimi mesi, il Carroccio è l’unica formazione politica della maggioranza che abbia una qualche vitalità politica ed elettorale. Mi pare un elemento da non sottovalutare. Il Pd non riesce che a giocare di rimessa. Forza Italia non supera il 10% di consensi, il Movimento 5 Stelle è nella situazione, drammatica, che abbiamo appena descritto. Del resto, se la Lega non avesse appoggiato Draghi si sarebbe costituito un Governo sì di larghe intese parlamentari, ma la cui base elettorale, stando ai sondaggi, avrebbe superato a malapena il 50%.

Fratelli d’Italia resta sola all’opposizoine. Un errore?

Premesso che se tutto il centrodestra avesse appoggiato Draghi oggi avremmo un governo differente, per Meloni si presentano due scenari che dipendono molto dall’operato del governo. Se Draghi farà bene, Fratelli d’Italia potrebbe pagare soprattutto il prezzo negativo del suo isolamento. Al contrario, Giorgia Meloni potrebbe riscuotere in positivo sul terreno elettorale. Troppo presto per tirare le somme.

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