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In Italia il governo le stende tappeti rossi, negli Usa la mettono alla porta. L’azienda tech cinese Zte, tra i leader mondiali nella rete 5G, è finita insieme a Huawei nel mirino della Federal communication commission (Fcc), l’agenzia federale a capo delle telco americane.

Con un voto all’unanimità (5-0) l’agenzia governativa guidata da Ajit Pai ha chiesto agli operatori nazionali di rimuovere l’equipaggiamento delle due compagnie cinesi perché “pone un rischio per la sicurezza nazionale”. Tre anni fa, ha fatto sapere l’attuale presidente con una stoccata al suo predecessore, Tom Wheeler, “la Fcc e l’esecutivo non avevano una strategia per constrastare le minacce alla sicurezza delle reti nazionali poste da alcuni fornitori stranieri di equipaggiamento, in particolare quelli con legami stretti con il Partito comunista cinese”. Ora “portiamo a termine un processo ribattezzato “rip and replace”.

Il riferimento è al “Rip and replace act” approvato nel 2019 dal Congresso con un ampio consenso bipartisan. Una legge che richiede agli operatori nazionali, specialmente quelli di piccole e medie dimensioni nelle aree rurali, di “rimpiazzare” la tecnologia cinese già installata per le reti 4G e di installare materiale “sicuro” accedendo ai fondi federali.

Per la precisione, stima oggi l’agenzia, “il programma richiederà almeno 1,6 miliardi di dollari per rimborsare i fornitori”. Nelle prossime settimane la Fcc pubblicherà una lista “di equipaggiamento e servizi nelle comunicazioni che possono porre un rischio per la sicurezza nazionale”. Già a giugno le cinesi Huawei e Zte, accusate dall’intelligence Usa di spionaggio per conto del Pcc e di installare backdoor nella rete 5G, sono state definite “una minaccia” dalla commissione.

L’accelerazione della Fcc, che nel mezzo della transizione fra Donald Trump e Joe Biden, a dimostrazione di una certa continuità nelle politiche di sicurezza per le tecnologie sensibili, ha dato avvio all’iter per il “Rip and replace” della tecnologia cinese, non può non riecheggiare anche in Italia.

Qui, solo due giorni fa, proprio Zte, azienda che nel Belpaese vanta una presenza consolidata e promette di investire un miliardo di euro nei prossimi cinque anni, ha tenuto un convegno, “Perché avere paura del 5G?” cui hanno partecipato, insieme al sottosegretario allo Sviluppo economico del Movimento Cinque Stelle Mirella Liuzzi, diversi esponenti della maggioranza e dell’opposizione, in quella che è apparsa come una formidabile campagna di lobbying sul governo a favore del 5G cinese.

Una settimana prima ancora Zte insieme a Huawei figurava come “platinum sponsor” della kermesse “5G Italy” che ha visto sfilare fior fior di esponenti del Conte-bis, dai ministri Gaetano Manfredi (Università) e Francesco Boccia (Affari regionali) ai viceministri Stefano Buffagni (Mise) e Matteo Mauri (Interno) fino ai sottosegretari Alessandra Todde (Mise) e Angelo Tofalo (Difesa).

Il tempismo non era sembrato casuale, nel pieno di una transizione di potere a Washington DC che allenta il pressing del governo americano sui suoi alleati. Un calcolo sbagliato, a sentire le notizie che provengono dalla Fcc. Il pugno duro degli Usa su Zte e Huawei è appena iniziato.

 

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