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Profondamente diplomatico – tanto da aver trattato con interlocutori assai più distanti da lui di quanto lo possa oggi Mike Pompeo- il Segretario di Stato Parolin nega irritazione per la posizione assunta dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo in merito ai rapporti tra Cina e Santa Sede. Parla di sorpresa, pur conoscendo da tempo la posizione statunitense. Ma questo non basta per capire cosa sia emerso. E per esprimere un’idea occorre tornare indietro. Infatti già all’inizio dell’intervento del Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Mike Pompeo, l’ascoltatore poteva confondersi: il Paese che ha relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese è la Città del Vaticano, quello che non le ha è la Repubblica che rappresenta Pompeo. Invece, come è noto, è vero il contrario. Allora si tratta di capire due cose: quale sia lo stato delle cose tra Vaticano e Stati Uniti e cosa ci sia alla base di una situazione che legittima un simile equivoco. Il primo punto lo ha spiegato, in una pausa dei lavori, il numero due della diplomazia vaticana, responsabile dei frapporti con gli Stati, monsignor Ghallagher, che ha fatto sapere di essere stato invitato a parlare solo per pochi minuti, “normalmente non si fa così. Quando si preparano le visite a così alti livelli di ufficialità si negozia l’agenda in privato e confidenzialmente. È regola della diplomazia, dando a entrambi possibilità di definire il simposio, non dando le cose per fatte”, aggiungendo che così si strumentalizza il papa per la campagna elettorale in corso, motivo per cui il papa non incontrerà Pompeo.

L’incontro, come è noto, riguardava la libertà religiosa, tema scottante in tutto il mondo, visto che si va dai genocidi alle persecuzioni, ma poi, e a ben altro livello, ci sono anche referendum per proibire l’edificazione di specifici luoghi culto, si pensa di proibire i visti ad appartenenti a Paesi dove la popolazione ha un determinato credo religioso. Ma forse non può concludere una simile presentazione non ricordando che si diffondono eresie sostenute da governi che rendono, ad esempio, l’Islam nemico di diritti riconosciuti dalla Costituzione di Medina, attribuita a Maometto, o occhieggiando a vangeli della prosperità e non dei poveri di spirito. Papa Francesco ha definito i poveri di spirito coloro che si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Ciò si collega alla rilevante questione del colonialismo culturale, che comprende tante cose. Dunque libertà responsabile e libertà illimitata, o assoluta, sono questioni connesse e di questo andrebbe determinato il confine.

Nel suo discorso Pompeo ha dimostrato di vedere il problema fondamentalmente in Cina e nelle persecuzioni che in Cina proseguono. Il suo discorso ha contenuto un’indicazione importante, che spiega molto: “Gli Stati Uniti fanno la loro parte nel parlare in nome delle vittime della repressione religiosa, possiamo fare di più, ma lavoriamo duramente per gettare una luce sugli abusi, punire chi è responsabile e possiamo incoraggiare altri ad unirsi a noi. Ma per quanto le nazioni possano fare alla fine i nostri sforzi sono limitati dalla realtà della politica mondiale – ha continuato il capo della diplomazia dell’amministrazione Trump – gli Stati possono a volte fare compromessi per far avanzare buoni fini, i leader vanno e vengono e le priorità cambiano”. “Ma la chiesa è in una posizione differente” ha proseguito, affermando che questo tipo di considerazioni “non devono compromettere standard di principio basate su verità eterne. E la storia ha dimostrato che i cattolici hanno affermato i loro principi in azioni gloriose”, in favore della dignità umana. Qui potrebbe emergere un nesso assolutista, un’idea di Chiesa “giudice eterno al di sopra e al di là della storia.” Per questo può emergere un’idea di cosa sia la diplomazia vaticana molto diversa non solo da quella dell’attuale Segretario di Stato. La testimonianza ne deve essere parte, ma anche il dialogo, non al costo di nascondere le tragedia, ma pur di creare le condizioni perché vengano superate. Non a caso il nome più illustre della diplomazia vaticana, il cardinale Agostino Casaroli, ha scritto un libro intitolato “il martirio della pazienza”, che può indicare non solo quanto costi la pazienza ma anche che la pazienza viene spesso martirizzata. Pompeo, da diplomatico attento alle religioni,  farebbe bene a leggerlo.

Al riguardo della Cina infatti bisogna tenere presente che in ballo, con l’ipotesi di accordo sulla nomina dei vescovi, c’è un primo passo non solo per i cattolici, ma per tutto ciò che significherebbe, trovando un’intesa, per il pluralismo nel Paese che ritiene sempre il suo imperatore “figlio del cielo”. Che non sia un’esagerazione potremmo capirlo andando a rileggere la travagliata storia del lunghissimo cammino europeo della stessa questione. È questa la posta in gioco, che non può paragonarsi a questi screzi, ma neanche piegarsi a chi le chiede per la contingenza di accettare che il cristianesimo torni ad poter essere presentato, con i conseguenti guai, come “strumento dell’Occidente”.

Comunque i rappresentanti vaticani non hanno citato né questo né alcun caso specifico, come è nel loro costume, ma è apparsa da subito evidente la differenza di impostazione quando il responsabile dei rapporti con gli Stati, monsignor Paul Ghallagher, ha citato la frase cruciale del documento sulla Fratellanza Umana firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar ad Abu Dhabi: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.” È un modo più profondo, ampio e generale per dire quel che si tentava di dire in precedenza. E anche la scelta di Pompeo di citare cinque volte papa Giovanni Paolo II è parsa onestamente un nuovo tipo di intromissione strumentale, quasi un voler indicare una diversità tra il papa che, in fondo, contribuì a buttare giù un muro e un papa, che oggi, vuole buttarne giù altri. Nel suo intervento conclusivo, il Segretario di Stato Parolin, ha ricordato infatti proprio Giovanni Paolo II, soffermandosi a lungo sulla Veritatis Spendor, dove il papa così caro a Pompeo sottolinea proprio che “in alcune correnti del pensiero moderno si è giunti ad esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori”, subito aver ricordato che “ il senso più acuto della dignità della persona umana e della sua unicità, come anche del rispetto dovuto al cammino della coscienza, costituisce certamente un’acquisizione positiva della cultura moderna”.

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