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Il capo dello Stato francese, Emmanuel Macron ha invitato oggi il presidente del Consiglio presidenziale libico, il premier del governo Gna onusiano Fayez al Sarraj, per un incontro a Parigi il “prima possibile”. Lo riferisce lo stesso Gna in un comunicato in cui parla della conversazione telefonica tra il premier e l’ambasciatrice francese per la Libia, Beatrice Le Fraper du Hellen. “L’ambasciatrice ha trasmesso i saluti del presidente Emmanuel Macron e ha rinnovato il suo sostegno all’iniziativa di pace presentata dal presidente Serraj lo scorso 21 agosto, trasmettendo l’invito del presidente francese a visitare Parigi il prima possibile”, si legge nel comunicato.

Sarraj, da parte sua, “ha accettato l’invito” sottolineando che la sua proposta per il cessate il fuoco, le elezioni a marzo e lo sblocco della produzione petrolifera “richiede il supporto di tutti gli amici”. E qui, chi segue il dossier libico non potrà non annotare che evidentemente qualcosa sta cambiando. Nella primavera scorsa, il Gna aveva interrotto le relazioni formali con Parigi, accusata di fare un doppio gioco in Libia. Se da un lato infatti la Francia ha sempre sostenuto formalmente l’accordo Onu del 2015 (noto con l’acronimo Lpa), dall’altro ha tenuto rapporti molto stretti ma meno pubblici con le forse ribelli guidate dal capo miliziano Khalifa Haftar.

Se stare con l’Onu e con Serraj era un obbligo formale (la Francia fa parte come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha avallato l’Lpa), spalleggiare le ambizioni di Haftar è stata una scelta funzionale al quadro di alleati che Parigi ha trovato dietro alle ambizioni militariste della Cirenaica. Su tutti, Egitto ed Emirati Arabi, finanziatori militari dei ribelli libici e amici francesi per un articolato quadro di interessi politico-economici, di sicurezza e geopolitici.

Il punto adesso è che Haftar ha perso presa militare, e dunque contatto col dossier. Sconfitto e costretto alla ritirata dalla Tripolitania, non ha al momento possibilità di prendere Tripoli e rovesciare il governo Onu come da sua ambizione. La campagna sponsorizzata dai partner esterni haftariani era partita ad aprile 2019: doveva durare non più di due settimane, secondo promessa di Haftar, che però non è mai stato un abile comandante (per questo fu radiato dalle forze gheddafiane). Ai problemi immediati di tenuta del fronte si era poi aggiunto l’intervento turco al fianco delle unità armate del Gna. Iniziato a novembre 2019, a giugno 2020 ha cambiato ritmo e consistenza e costretto il wannabe-uomo-forte libico alla ritirata in Cirenaica.

Ora Haftar è isolato, non più potabile, il suo ex sparring partner politico, Aguila Saleh presidente del parlamento libico HoR riconosciuto dall’Onu, ha lanciato un piano per il dialogo. Spalleggiato dall’Egitto, ha di fatto scavalcato Haftar su quel lato del fronte. Un tentativo di avviare la stabilizzazione che ha avuto il plauso della Comunità internazionale e che si sovrappone alle volontà di dialogo del Gna e dunque ne riconosce l’attuale azione politica (non poco). Parigi non può restare all’angolo. Sullo sforzo negoziale Washington, Berlino e Roma hanno un ruolo centrale: hanno gettato diplomazia su entrambi i lati, ma sempre mantenendo netto il primato del Gna nell’essere l’entità legittima è riconosciuta rispetto alle forze dell’Est libico.

Macron cerca spazio. Fino a mesi fa questo genere di inviti avrebbe coinvolto anche Haftar. Ossia sarebbe stato usato per dare legittimità alle sue ambizioni, dunque alla sua azione militare (era questo il motivo per cui Tripoli aveva rotto con Parigi), ma adesso il quadro è cambiato. Se Abu Dhabi non riesce a sganciarsi dal capo miliziano dell’Est per ragioni quasi esistenziali — in cui è incluso il non voler dare riconoscimento al lato rafforzato dal coinvolgimento di Ankara, contro cui gli emiratini hanno dichiarato aperta la guerra intra-sunnita — Parigi ha più opportunità. Mantengono una linea assertiva contro la Turchia, che è rappresentata anche nel revisionismo con cui i francesi affrontano il dossier libico — accusando (con ipocrisia e miopia) i turchi di aver destabilizzato la Libia — ma vogliono recuperare il terreno perso su Tripoli.

Ora la Francia vuole un ruolo a Tripoli, e non è detto che sia una notizia non positiva per l’Italia, che come ricorda l’ambasciatore Stefanini su queste colonne ha il compito di cercare la convergenza dei grandi Paesi europei sul tentativo di stabilizzazione libica. Convergenza che ha i suoi rischi: la competitività francese in Libia è sempre stato il problema di Roma, d’altronde. E poi c’è il pericolo che la Francia sposti questo processo di allineamento su una traiettoria percepita da Ankara come ostile. Sul campo, spiegava Karim Mezran, sono turchi e russi a dettare le regole per i due lati, dunque se questi due attori non decidono di includersi il processo politico potrebbe stentare.

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Conversione sulla via Tripoli. Ecco perché Macron ora vuole Serraj a Parigi

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