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Il gruppo combattente jihadista somalo al Shabaab ha rivendicato l’attacco odierno contro una caserma militare nei pressi dello stadio di Mogadiscio. Ci sono otto morti tra i militari e dozzine di feriti: un attentatore si è lanciato con un’auto imbottita di esplosivo contro il cancello della struttura che ospita la “Brigata 12 aprile” delle forze armate somale.

Il ministero della Difesa italiano ha sottolineato che i nostri militari sono al sicuro: a Mogadiscio c‘è un contingente italiano che opera nell’ambito della missione europea (Eutm) in Somalia, che ha l’obiettivo di rafforzare il governo federale di transizione somalo, attraverso la consulenza alle istituzioni di difesa somale e l’addestramento militare.

Shabaab di solito compie imboscate contro le forze di sicurezza, ma l’attentato di oggi, contro una base nel cuore della capitale, alza il livello delle azioni del gruppo e dunque le preoccupazioni del governo, così come di Paesi come Italia o Stati Uniti che assistono lo Stato somalo contro i ribelli jihadisti che da una decina di anni aumentano l’instabilità nazionale e regionale.

L’attacco è probabilmente anche un messaggio di risposta alla riapertura dello stadio che si trova vicino alla caserma. Chiuso per sedici anni, lo scorso mese la ristrutturazione è stata inaugurata alla presenza delle massime istituzioni somale anche come simbolo di una forte volontà per il ritorno alla normalità nonostante i tempi difficili.

Ma Shabaab, come tutte le organizzazioni terroristiche jihadiste, sopravvive nel caos — contesto che le permette di spingere la propaganda e creare proseliti (e dunque acquisire forza). È dunque contraria a ogni forma di stabilizzazione. Oppure, se si volesse cercare una motivazione, si potrebbe pensare al fatto che l’attacco arriva nel giorno in cui il Parlamento avrebbe dovuto estendere di 24 mesi il mandato del presidente Farmaajo.

Il gruppo islamista somalo sta combattendo il governo sostenuto dalle Nazioni Unite e dal 2011 a oggi e ha effettuato una lunga serie di attacchi in tutta la regione. L’organizzazione, alleata di al-Qaeda e non dello Stato islamico nella divisione interna al jihadismo sunnita, è stata sconfitta dalla maggior parte delle principali città che un tempo controllava, ma rimane una pericolosa minaccia.

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